Se da un lato, per le nostre recensioni, cerchiamo sempre immagini pressappoco rettangolari, ciò che spesso cerchiamo di evitare sono le immagini con didascalie, sottotitoli, sigle e quant’altro. Quella che avete modo di vedere alla vostra destra non raffigura un titolo, non è uno spezzone della sigla, bensì un momento specifico e ricorrente dell’episodio.
Non so se vi è mai capitato di imbattervi nei documentari di VICE News, caratterizzati da tematiche e servizi abbastanza estremi che uno direbbe: “ma chi ve lo fa fare?”. In questo secondo episodio di Documentary Now! (giunto alla sua cinquantesima stagione, come ci ricorda all’inizio Helen Mirren) si effettua un grande salto temporale, rispetto al primo episodio, giungendo così alla parodia della più o meno moderna tendenza delle inchieste sul campo (notare la schermata in 16:9).
Ciò su cui si fa maggiormente leva, a livello umoristico, è il senso – o meglio, il non-senso – del pericolo da parte dei vari inviati. Vari, perché come la guest-star Jack Black (da sempre ottima garanzia di demenzialità) ci racconta, nella pericolosa missione che ci viene narrata, non tutti ne escono bene. La ricerca di El Chingon, boss del cartèl messicano (interpretato da un ritrovato Steven Michael Quezada), vede avvicendarsi ben tre coppie di reporter in quanto le prime due, beh, vengono fatte fuori. La vera linea di continuità con “Sandy Passage” è costituita dal proposito di dedicarsi alla parodia superando i confini del realismo e della sottile satira. Il servizio di DRONEZ sarebbe, infatti, potuto essere un’unica missione di inchiesta alla ricerca del pericoloso criminale, costituita da diverse gag. A sottolineare, invece, il proposito più burlesco e demenziale della serie vi è proprio questo avvicendamento tra inviati. Le tre coppie, infatti, sono tutte interpretate da Armisen e Hader (nei panni anche delle due Vivvy, nel precedente episodio), senza neanche sforzarsi granché di apparire differenti. Ed è proprio questo che scatena il lato comico, insieme alla loro effettiva stupidità e voglia, quasi annoiata, di buttarsi in situazioni altamente letali.
La grande differenza con la première sta invece nel duplice schema comico esposto nella precedente recensione. Dove il documentario di metà anni ’70 regalava una “comicità di contesto”, in questo caso il dinamismo umoristico è retto dai soggetti in questione. Le due Vivvy rappresentavano una parte del paesaggio altamente assurdo, nato da una presa in giro vera e propria nei confronti di un altro decennio. In “DRONEZ: The Hunt For El Chingon” il paesaggio dipinto non è tanto lontano dal reale, trovandoci, soprattutto, in un contesto geografico specifico. I due sei inviati, di volta in volta, vanno a “svegliare il can che dorme” grazie alla loro imprudenza e idiozia e soltanto su di loro è concentrata l’attenzione dello spettatore. E’ ovvio, l’incontro finale con El Chingon ha un risvolto maggiormente esplosivo, facendosi anche Quezada soggetto comico, grazie alla rivelazione della sua personalità. Sebbene gradevole e ilare, il momento finale corale è proprio ciò che risulta meno convincente. Ma, riflettendoci bene, forse non aveva neanche la pretesa di risultare convincente. La retata della polizia è la rottura dello schema che vede il ricorrente omicidio dei due reporter, così come la festa finale è soltanto la scusa per dare la conclusione alla vicenda. Ciò che Documentary Now! ci sta indicando è che la vera sorpresa, il vero impatto per lo spettatore, è previsto per l’inizio dell’episodio, dopo la presentazione di Helen Mirren, quando vi è la stesura del finto documentario che tanto dovrebbe suscitare familiarità. E questa forse può essere la croce della serie: il linguaggio non pienamente familiare. Certo, con i mezzi odierni nulla è irraggiungibile, è anche vero però che, così come Mario evoca schemi identificabili anche per lo spettatore più distratto (l’elenco dei titoli del TG, gli spot pubblicitari, le rubriche di approfondimento…), DN! è invece un richiamo diretto per le conoscenze e abitudini televisive del pubblico d’oltreoceano. In ogni caso, qualora non si conosca ciò che si va ad imitare, una buona ricerca su YouTube o Wikipedia possono tranquillamente risolvere la questione e colmare eventuali lacune. In sostanza, la polpa della comicità di DN! va cercata nell’incipit del fittizio documentario, esattamente come quando vediamo o ascoltiamo il nostro imitatore preferito che fa il verso a qualche personaggio famoso: ad un certo punto ci interessa poco ciò che dice, il primo aspetto che va a suscitare la nostra curiosità è proprio l’impatto iniziale. Tanto è vero che più la si “butta in caciara”, in un vortice di assurdità e nonsense, più chi assiste all’imitazione trova fonte di ilarità. Il discorso calza a pennello con il party finale, con i due reporter sopravvissuti pienamente inseriti nell’ambiente malavitoso. Se quella può essere una deriva lontanamente prevedibile per questo breve tracciato, così non sono le descrizioni delle precedenti missioni, lo sguardo e l’outfit di Jack Black che conduce e illustra il servizio, le interviste da parte dei nostri intrepidi. Degna di nota la descrizione della casa del primo messicano intervistato.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Situazioni maggiormente comiche compensano le situazioni leggermente più ripetitive, rispetto alla 1×01. Il fatto che continui poi a mancare lo spunto per fragorose risate porta la 1×02 a bissare il voto precedente.
Sandy Passage 1×01 | 0.16 milioni – 0.02 rating |
DRONEZ: The Hunt For El Chingon 1×02 | 0.11 milioni – ND rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.