Euphoria: Special Episode – Fuck Anyone Who’s Not A Sea BlobTEMPO DI LETTURA 8 min

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Recensione Euphoria episodio specialeSebbene molto sottovalutata, perché spesso erroneamente associata ad un pubblico esclusivamente adolescenziale, la categoria del teen drama è senza dubbio una delle più interessanti dal punto di vista prettamente sociologico. Andando a ritroso, ripercorrendo la storia del suddetto genere per sommi capi, si trovano nomi oramai diventati iconici per intere generazioni.
Limitandosi ai teen drama che mostrano una struttura simile a quella di Euphoria – escludendo quindi ammazzavampiri, mamme per amiche e disabili che cantano – è possibile addirittura tracciare una sorta di continuità tra quelli che, gusto personale a parte, hanno lasciato un segno nella storia della televisione per ragazzi.
Una sorta di staffetta partita negli anni ’90 con Beverly Hills 90210, passata poi per Dawson’s Creek e The O.C., e infine conclusasi con Skins e la sua cruda rappresentazione della realtà. Tutte serie che in qualche modo, ai loro tempi, hanno cercato di parlare ai giovani di tutte quelle tematiche considerate tabù, ma che in ultima analisi, proprio a causa del gap generazionale che le separa, hanno ben poco da spartire l’una con l’altra senonché l’appartenenza di genere. Una serie di prodotti contestualmente molto diversi tra loro, ma che se visti in relazione alla generazione di riferimento riescono a dare un quadro abbastanza chiaro di come funzionassero le dinamiche sociali tra adolescenti in quel preciso periodo storico.
Le ansie e le insicurezze restano le stesse, a cambiare è il modo con cui gli adolescenti scelgono di affrontarle.
In questo ciclo trentennale del teen drama è inutile dire che Euphoria entra quantomeno a gamba tesa, utilizzando le atmosfere e la visione senza filtro già viste in Skins, ma riuscendo a comunicare effettivamente qualcosa al termine della visione. E se la prima stagione già era riuscita nell’intento di risvegliare qualcosa nello spettatore, con questi due episodi speciali la serie si pone come obiettivo quello di scavare, ancora di più, all’interno della psiche delle protagoniste, regalando allo spettatore in pratica due momenti di estrema intimità in compagnia di Rue e Jules, durante i quali  viene chiesta soltanto una cosa: ascoltare.

QUESTA REALTÀ CHE CI FA DA SPECCHIO


I feel like my entire life I’ve been trying to conquer femininity, and somewhere along the way, I feel like femininity conquered me.”

Il primo aspetto che viene toccato nel corso della seduta è quello della femminilità. Jules sente infatti di aver costruito la propria femminilità a partire da ciò che gli uomini considerano desiderabile, e ora che con Rue è riuscita ad andare “oltre” questi uomini, l’ultima cosa che le resta da comprendere è quello che lei stessa considera desiderabile.
Perché ciò avvenga la ragazza sente di dover interrompere la terapia ormonale, decisione che lei stessa afferma non essere ponderata, bensì una reazione spontanea in seguito alla realizzazione di non essere più interessata agli uomini e alla loro generale mancanza di complessità caratteriale e creatività. Una sorta di meccanismo di difesa che la ragazza è pronta a mettere in atto per sopperire al senso di colpa che la tormenta e che la induce a pensare di essere soltanto un’ipocrita e di aver preso in giro se stessa fin dal primo momento.
Le dure parole che Jules rivolge a se stessa portano naturalmente la terapista a sollevare un’altra questione: nel momento in cui all’interno dell’essere umano avviene un cambiamento – non importa che esso sia legato alla sfera sessuale oppure no – può capitare di trovarsi schiacciati sotto il peso dell’autocritica. Sebbene quest’ultima non sia di per sé negativa, appare abbastanza evidente quanto un eccesso di severità nel processo di autovalutazione possa invece portare ad esiti disastrosi. Ed ecco che allora si torna nuovamente al punto cardine della questione: molto spesso l’autocritica portata all’estremo può condizionare il rapporto che si ha con le altre persone, portando a voler soddisfare aspettative irraggiungibili che, ossessionati dall’ombra del fallimento e dalla costante sensazione di imperfezione, si è deciso di creare. Aspettative che, esattamente come l’iniziale decisione di Jules di sottoporsi alla terapia ormonale, vengono costruite a partire dal desiderio di essere accettati dagli altri ancor prima che da se stessi, sottolineando per l’ennesima volta l’inconscia avversione dell’essere umano al rifiuto, a maggior ragione se inserito all’interno di una società fatta di individui molto più propensi al giudizio che all’ascolto.

PAURA, NEGAZIONE E RESPONSABILITÀ


I’m like, really angry at Rue. I feel like her sobriety is like, completely dependent on how available I am to her.

Dopo un iniziale focus su se stessa, Jules si ritrova ad analizzare il rapporto con Rue, toccando in primis la questione della responsabilità indiretta del suo ruolo di partner sul suo processo di riabilitazione.
Descrivendo la sua compagna, Jules si sofferma in particolare su un aspetto: la sensazione di leggerezza trasmessa dagli occhi di Rue, occhi che non vanno a caccia di difetti e che riescono ad andare oltre alla maschera che Jules è solita indossare con le altre persone.
Per la prima volta paura e insicurezze lasciano il posto a serenità e accettazione di se stessi, ricordando alla ragazza lo sguardo, ormai lontano nei suoi ricordi, di una madre in grado di amare sua figlia. Ma ricordando anche l’altra faccia della medaglia, quella della dipendenza, e degli effetti che, in entrambi i casi, essa ha avuto indirettamente sulla sua vita.
Tra tutte le questioni toccate in questa seduta, il senso di schiacciamento provato da Jules a causa della dipendenza di Rue è sicuramente quella potenzialmente più pericolosa per l’integrità della coppia. Il sogno ricorrente che la ragazza racconta alla sua terapista appare emblematico in tal senso: la paura di dover assistere alla ricaduta, se non addirittura alla morte della propria ragazza, è un pensiero che difficilmente potrà essere scacciato dalla mente di Jules, a prescindere dal tempo marcato sul gettone di Rue. E sebbene una totale trasparenza e l’amore incondizionato del proprio partner possano sicuramente aiutare, è anche vero che la vita è una traversata in un oceano di incertezze, e trovare una piccola isola in cui ci si senta del tutto al sicuro non è mai cosa facile.
Attraverso un paio di flashback si ritorna al finale di stagione, e per la prima volta allo spettatore è concesso di analizzare e comprendere le vicende sotto un altro punto di vista, tenendo conto questa volta delle emozioni e del bagaglio emotivo che le due protagoniste sono costrette a portarsi dietro da anni.
Esattamente come Rue in “Trouble Don’t Last Always“, anche Jules appare sconfitta, stremata dalla vita e dalle sue continue delusioni. Non è difficile capire dunque quanto sia difficile per entrambe immaginare di raggiungere un’ipotetica felicità, a maggior ragione se questa condizione appare del tutto immeritata ai loro occhi; una vita che si trasforma in un calvario in cui l’unico sentimento concesso è la tristezza, punizione karmica per tutti gli errori commessi in passato.

LA VITA È COME LA SCALETTA DI UN POLLAIO…


I feel like a real life is always such a letdown. […] I don’t know, it’s just like… easier to talk with people online. You can be more open, and honest, and like, vulnerable. […] Some of the most profound relationship I’ve ever had have been with people I’ve never met.”

Ed è proprio su questo concetto che si concentra la terza parte della seduta: l’esistenza vista solo ed esclusivamente come un perenne susseguirsi di delusioni. Visione sicuramente condivisa da coloro che sono abituati a guardare alla vita come ad un’insensata successione di eventi randomici il cui unico fine è la sofferenza – la famosa scaletta del pollaio – e fortemente contestata invece dagli ottimisti cronici al grido di “la vita è un dono meraviglioso”.
Non essendo questa la sede per intavolare un acceso dibattito sul significato dell’esistenza tra nichilisti convinti e orsetti abbracciatutti, le suddette categorie sono state citate per un’altra ragione: il punto di forza di Euphoria è da sempre l’analisi delle cause a monte del problema piuttosto che del problema stesso, e questo permette allo show di mostrare allo spettatore non tanto quali siano le abitudini dei nuovi adolescenti, bensì le ragioni che portano gli adolescenti a comportarsi in un certo modo. Al termine di “Fuck Anyone Who’s Not A Sea Blob” entrambe le categorie sopracitate si troveranno, in momenti differenti, a riflettere su quanto sia impossibile esprimere un giudizio univoco su una cosa così complessa, ma soprattutto quanto sia difficile guardare oltre le proprie convinzioni quando esse sono ormai radicate in profondità nella nostra mente.
Questa costante sensazione di infelicità provata da Jules si traduce quindi in una difficoltà nel relazionarsi con le persone nella vita reale, prediligendo le interazioni online perché fondamentalmente frutto della sua immaginazione (“It was just pure fucking imagination.”) e quindi ancora cristallizzate in quella fase primordiale del rapporto fatta di sesso sexting e passione sfrenata. Una sorta di relazione intangibile, chiusa all’interno di una bolla che la protegge costantemente dal velenoso tocco dell’esistenza e che protegge la stessa Jules dalla sua paura più grande, quella di essere abbandonata nuovamente dall’unica persona che è in grado di farla sentire autentica.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • In assoluto uno degli episodi più forti a livello emotivo e anche un’ottima occasione per fermarsi ad ascoltare
  • Grandissima prova attoriale per la Schafer
  • Nulla

 

Un’altra grandissima prova di scrittura a conferma del fatto che una buon prodotto si basa principalmente su ciò che si vuole andare a raccontare. Non si può far altro che benedire e attendere con ansia l’inizio della seconda stagione.

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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