Fargo 4×10 – HappyTEMPO DI LETTURA 3 min

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Questa quarta stagione soffre di un enorme problema alla base: la sceneggiatura non è all’altezza dell’ottima regia, motivo per cui per quanto a livello visivo lo show di casa FX sia splendido, l’evoluzione della storia certo non entusiasma.
Noah Hawley utilizza un montaggio veramente peculiare, vera linfa vitale di una narrazione lenta e a tratti quasi bloccata per gran parte della puntata, per una regia che si conferma il vero punto di forza della serie. A deludere fortemente invece è l’evoluzione della guerra tra le due fazioni in gioco: dopo un’attesa durata mezza stagione, le parti prettamente action sono ridotte veramente all’osso, per un conflitto che giunti ormai ad un episodio dalla fine deve per forza terminare, essendo Fargo una serie antologica. Si poteva fare di più? Certamente sì.
Anche in questo decimo appuntamento, nei primi 35 minuti non succede praticamente nulla, con un ritmo narrativo eccessivamente lento e ostico da digerire per lo spettatore, salvo poi un repentino cambio di marcia nei 15 minuti finali, che al contrario sono splendidi. Infatti, dopo una marea di chiacchiere inutili, la situazione finalmente si sblocca e si assiste alla morte di Odis, ottimamente interpretato da Jack Huston, che conscio del proprio destino decide comunque di arrestare i fratelli Fadda, anche se gli costerà la vita: il suo assassinio è la perfetta conclusione della sua parabola narrativa e il preambolo per un ulteriore colpo di scena.
Gaetano Fadda, dopo aver ucciso il poliziotto traditore, inciampa su stesso con la pistola in mano, sparandosi in faccia e morendo sul colpo: in qualsiasi altra serie avremmo gridato allo scandalo per una morte così a caso e senza senso, tuttavia chi ha visto le precedenti tre stagioni di Fargo sa bene come morti del genere – a cazzo de cane, per citare una nobile serie – siano uno dei tratti distintivi dello show di casa FX e quindi ben si comprende la scelta autoriale.
Al contrario invece lascia negativamente sorpresi l’involuzione della storyline dedicata all’infermiera pazza Oraetta Mayflower (curiosa la scelta del cognome visto che la Mayflower fu la nave con la quale i padri pellegrini raggiunsero gli Stati Uniti) considerato che, anello a parte, il suo repentino arresto conclude una storia sicuramente non esaltante, nonostante gli evidenti collegamenti alla storyline principale, che alla fine lascia ben poco allo spettatore.
Ma a proposito di anello – non quello del Conte di Boris – è sempre nella porzione finale della puntata che si assiste alla coraggiosa iniziativa di Ethelrida, uno dei personaggi che dalla season premiere ha subìto l’evoluzione più interessante, faccia a faccia nientemeno che con Loy Cannon: in pieno stile Fargo, un elemento totalmente casuale, come guidato dal fato, all’improvviso riunisce tutte le varie sottotrame della serie giusto in tempo per il season finale.
Non è facile esprimere un giudizio unico su questa decima puntata, vista la sua duplice natura con un ottimo comparto tecnico da una parte e una narrazione che arranca dall’altra, per una storia certamente interessante ma fino a un certo punto. La sensazione che si potesse fare di più a livello di scrittura rimane, soprattutto per i tanti riempitivi e tempi morti disseminati lungo la puntata, motivo per cui si opta per una semplice sufficienza ma nulla di più.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • L’ottima regia di Noah Hawley, vero punto di forza dello show
  • La morte di Gaetano Fadda in pieno stile Fargo
  • La morte di Odis perfetta conclusione della sua parabola narrativa
  • Ethelrida e l’anello, welcome back Fargo
  • Sceneggiatura non all’altezza della regia
  • Mezza stagione in attesa della guerra e alla fine la parte action quasi inesistente
  • La storyline dedicata a Oraetta è deludente
  • Puntata lentissima specialmente nella prima mezz’ora

 

“That’s the Cosa Nostra, boy. This ain’t no podunk thuggery”

 

 

 

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Venera due antiche divinità: Sergio Leone e Gian Maria Volontè.
Lostiano intransigente, zerocalcariano, il suo spirito guida è un mix tra Alessandro Barbero e Franco Battiato.

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