Grey’s Anatomy o dello stupore. La serie di Shonda Rhimes ha la capacità di stupire perché non c’è mai limite (alla morte, al dolore, ai corsi e ricorsi, alla coazione a ripetere e anche al peggio). Ormai da molti anni il medical drama ha abituato lo spettatore a tutto: lo ha preparato a sopravvivere ad incidenti aerei, ad amori dolorosi e strappacuore, a morti penose, lo ha addestrato a cambi e ricambi dell’equipe medica, a tradimenti e a ricongiungimenti. Lo spettatore di Grey’s Anatomy è corazzato, non ha paura perché è da molto sulle barricate, è un vero temerario, si lancia in un nuovo episodio quasi con boriosa arroganza: “Vediamo cosa sai fare questa volta”. Lo show insomma ha istruito chi guarda a sopportare qualsiasi cosa, però quando è troppo è troppo: “Judgment Day” è l’esempio proprio di questo, non c’è mai limite al peggio.
Nelle ultime stagioni il corpo spettatoriale assiste a ogni episodio quasi sotto ipnosi o come un drogato che ha bisogno di una nuova dose del “suo peggio” quotidiano: alla maniera di un film sulla tossicodipendenza e sulla disintossicazione lo spettatore si dibatte tra una “perseveranza visiva” masochistica e una nausea incoercibile per ciò che sta guardando, vorrebbe placare gli spasmi raggomitolandosi sul divano ma il tentativo è vano perché l’attrazione per quella visione è tanto calamitante quanto perversa.
Mai similitudine sembra più calzante per definire il rapporto spettatore-Grey’s Anatomy e il ventesimo episodio, “Judgment Day”; ciò che muove la puntata è una scatola di biscotti alla marijuana. Nessun evento viene raccontato in maniera normale in questa serie; infatti la presentazione, da parte dei medici dell’Ospedale Grey-Sloan, dei progetti riguardanti il Grey-Sloan Surgical Innovation Prototypes Day viene interrotta da una entusiasta Arizona che offre ai suoi colleghi dei biscotti che le sono stati donati da un paziente.
Cosa c’è di più inadeguato di un relatore in preda ai fumi? Lo scopo dovrebbe essere quello di far divertire, di togliere quell’aura di rispetto e rigore che la figura professionale incarna. Il risultato però non è quello sperato visto che è un’ironia povera e blanda quella a cui si aspira.
I chirurghi sono eccitati come bambini davanti ad un gioco che tanto volevano. Colori iperreali e molto più vividi del normale, rumori distorti, una realtà percepita diversa da quella solita, non riescono a portare a termine una frase, figuriamoci un discorso; così è Meredith, una delle poche a non aver mangiato i biscotti, a dover gestire assieme a Jo l’emergenza. La soluzione è quella più ovvia rinchiudere i colleghi in una stanza per evitare il disastro.
Quale potrebbe essere la conseguenza più ovvia di una situazione come questa? Il portare a galla tutto ciò che fino a questo punto era tenuto nascosto, i cadaveri escono dall’armadio e con il loro fetore nauseabondo ammorbano ogni cosa. Non sempre si tratta però di cose interessanti e utili all’economia della puntata come del resto capita per ogni elemento con cui si costruisce ogni episodio di Grey’s Anatomy.
Grey’s Anatomy costruisce l’episodio in maniera piuttosto classica: divide il gruppo in piccoli sottogruppi e “salta” da uno all’altro per carpirne gli umori, o meglio tenta di farlo senza troppa convinzione. Il primo gruppo è composto da Arizona, Andrew e Maggie che, ognuno a modo proprio, vomitano il proprio disagio, piuttosto di superficie, senza troppi approfondimenti: la prima analizza la storia con Carina, il secondo si dispera per la mancanza della fidanzata, l’ultima, in pieno trip, fa dissertazioni sui formaggi di tutto il mondo. Il secondo gruppo vede come protagonisti Owen, Karev (l’unico ad aver mangiato i biscotti) e Amelia; si poteva sperare che dopo la separazione dei due terminasse il tira e molla: una mente logica, dopo il viaggio di Owen in Germania, avrebbe chiuso a doppia mandata la relazione tra i due ex coniugi. Qui invece di logico non c’è nulla: quindi, dopo aver avuto notizia dell’arrivo del bambino in affido, Owen chiama proprio l’ex moglie e siamo pervasi dal timore che tutto ricominci da capo (il finale in cui la donna resta a dormire a casa dell’ex marito ne è una prova).
A rompere questo eterno ritorno è Karev che almeno un po’, nonostante una sceneggiatura deludente, riesce a far sorridere. L’unico gruppo da cui esce qualche elemento utile per l’episodio e per la sopravvivenza di una qualche storia alla base della stagione è quello della famiglia Avery: Catherine confida al figlio Jackson che sono sulla soglia del fallimento a causa delle molestie che il Nonno Avery ha inflitto alle partecipanti femminili del concorso. Chiaramente Shonda Rhimes fa riferimento al caso Weinstein, come aveva fatto in Scandal, traducendolo qui però in chiave “ospedaliera”. Il caso della dottoressa Froy distruggerebbe non solo l’ospedale ma lo stesso prestigio del premio; la notizia si espande a macchia d’olio: Kepner racconta ciò che ha sentito (origliando un dialogo tra Jackson e Catherine) a Bailey e poi anche a Meredith. Tutto questo non può non avere conseguenze e infatti quando al telegiornale si dà la notizia si capisce che un altro uragano si scatenerà sulla serie.
Lo spettatore scivola da un gruppo all’altro come in preda a convulsioni senza capire la necessità di molto di ciò che accade di fronte ai suoi occhi; cerca di ricordare ciò che ha visto poco prima ma è impossibile perché un fumo confuso confonde ogni cosa, tenta di andare a tentoni tra una “stanza” e l’altra ma continua a sbattere contro ostacoli che non avrebbe immaginato di incontrare sul suo cammino.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Beautiful Dreamer 14×19 | 6.97 milioni – 1.8 rating |
Judgment Day 14×20 | 6.90 milioni – 1.6 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.