Una volta che, quindi, la prima stagione non ha avuto quel richiamo che magari ci si aspettava, specie a livello “numerico”, lontano anni luce dal successo planetario di marchio Game of Thrones, gli appassionati saranno stati perseguitati da vecchi fantasmi. Ma come sempre si è spesso precisato in questi lidi, per far la differenza tra questo tipo di prodotti (e di produzioni), non si può prescindere dal materiale originale e, soprattutto, dall’approccio che si sceglie di seguire. Se infatti la scrittura di Martin è di base comunque popolare, se non commerciale, non certo si può dire la stessa cosa per quella di Pullman, il che continua a rendere l’adattamento della sua trilogia una sfida ostica per chiunque. Una sfida che però, visto il potenziale immenso che si porta dietro, val la pena di affrontare e che Jack Thorne, pur con i suoi limiti e qualche difficoltà, ha dimostrato di potersi far carico con assoluto rispetto.
Non è un caso, a tal proposito, se dove è inciampato, più di tutto, è stato proprio nel concentrarsi sul restituire un mondo più vicino possibile a quello letterario, con episodi singoli tanto focalizzati sui luoghi visitati di volta in volta, stentando però sulla caratterizzazione dei protagonisti e soprattutto sulla narrazione, proprio ciò che il formato seriale avrebbe dovuto in teoria agevolare. Eppure, ciò paradossalmente ha permesso alla serie di crescere, una volta superato l’impasse “ambientale”, permettendogli di catturare l’essenza dei romanzi, il loro spirito, la loro atmosfera, proprio come (almeno all’inizio) avevano dimostrato di saper cogliere Benioff&Weiss per Le Cronache del Ghiaccio del Fuoco.
Ossia un’atmosfera profondamente adulta e tanto allegorica, spesso tetra, spaventosa e “fredda”, in cui adulti e profondi sono i concetti che la muovono: teologici, scientifici e filosofici, esistenziali ed universali; che trattano ora di crescita e morte, di anima e libero arbitrio, di scienza e fede, fino a toccare la mitologia biblica (come da espressa ispirazione miltoniana); tutto però all’interno del popolare genere fantasy, di avventura e, soprattutto, filtrato dagli occhi semplici e ingenui di una bambina, anzi due.Lyra.
“He’s a murderer. The good kind. Just like Iorek. But there’s something else about him, too. He’s connected to this place. He’s got something to do here. I think we both do.”
Quello che questa première evidenzia, più di ogni altra cosa, è proprio quest’attesa focalizzazione sui due protagonisti, liberi da ogni altro onere fin troppo pesante per la loro tenera età, come attraversare il globo per portare l’alietometro al padre per Lyra, o badare alla madre per Will. Nell’introdurre La Lama Sottile, il secondo capitolo della trilogia con cui Pullman ampliava il mondo da lui creato aprendolo al multi-verso (tra cui il nostro), Jack Thorne decide subito di concentrarsi massicciamente su di loro. Si capisce che, in questo senso, la prima stagione è servita proprio come grande introduzione tanto per il mondo fantastico della storia, con tutti i suoi peculiari usi e costumi, quanto per i personaggi (vedi il comportamento ancora controverso della Signora Coulter, legato a quell’enigma, ribadito qui ancora una volta alla strega prigioniera, su “chi è Lyra Belacqua?”). Va trovata probabilmente qui l’origine della coraggiosa scelta dell’autore di presentare con largo anticipo Will, così estraneo alla storia e alla realtà straordinaria di Lyra, in virtù di una visione globale e futura più ampia che si inizia a scorgere tutta in questo episodio.L’ADOLESCENZA AI TEMPI DELL’ALIETOMETRO
Dopo un’intera stagione in cui le loro storie si sono sviluppate in maniera completamente “parallela”, “The City Of Magpies” segna il loro fatidico incontro, dando luogo a una serie di situazioni tanto divertenti quanto significative delle loro differenze, che altrimenti sarebbero state ben meno efficaci. Specie per Lyra, rinominata “Linguargentina” dopo aver ingannato il Re degli Orsi, mai così “umana”, mai così inesperta e “fuori posto”, mai così “bambina”, nel rapportarsi con Will e con le faccende di tutti i giorni come cucinare o farsi una doccia.
Per entrambi è solo l’inizio per avere un ruolo “attivo” della loro vita, per decidere il proprio destino, per crescere, dopo essere fuggiti dai rispettivi mondi, in uno nuovo e sconosciuto in cui appunto la minaccia maggiore è proprio diventare adulti. Si può leggere a tal proposito il rifiuto di Lyra di usare l’alietometro, per la prima volta da quanto ha imparato a interpretarlo, proprio quello strumento che l’aveva resa unica e speciale nel suo mondo, quasi come una ribelle e adolescenziale identificazione di sé.
Dove allora “The City Of Magpies” sembra sancire il decisivo cambiamento di registro della serie è nel dare finalmente libero sfogo a quelle metafore semplici e allo stesso tempo complesse di cui l’opera originale è pregna, e che per un po’ di tempo Thorne sembrava aver messo un attimo da parte. Da quel “strano per un mondo, ma normale per un altro” con cui Lyra e Will iniziano a conoscersi (stessa cosa per le due Oxford o per il significato letterale di “Daimon”, simili solo nei nomi), ai fantasmi che privano delle anime gli adulti, lasciandoli “vuoti” (proprio come la separazione di un Daimon), fino e specialmente alla Polvere, nella sua accezione di “peccato originale”, introdotto dal dialogo tra Asriel e Lyra solo sul finale di stagione (appunto), pretesto fisico e visibile (e quindi non esclusivamente morale) con cui il Magisterium ha potuto soggiogare con estrema potenza e credibilità un’intera popolazione mondiale al proprio volere. E che Lyra invece sceglie di difendere, come ribadisce a Will e agli altri piccoli abitanti di Cittagazze, non per chissà quale riflessione antropologica, ma semplicemente per un costrutto logico quanto semplice: se i “malvagi” la combattono, allora dev’essere “buona”.
Come per il peccato capitale di cui si è macchiato Will, ovvero l’aver involontariamente ucciso un uomo, che Lyra attraverso l’alietometro non interpreta come segno indissolubile della sua natura (“the good kind“), aprendosi come se nulla fosse ad una verità relativa (anche assurda per lo spettatore), in cui bene e male sono privi di alcun assolutismo nonché giustizialismo imposto dalla società.
IL LIBERO ARBITRIO AI TEMPI DELL’ALIETOMETRO
Si arriva allora a quel libero arbitrio che le streghe vogliono difendere ed il Magisterium combattere, come preannuncia la rivoluzione all’interno del Magisterium consumata dalla Signora Coulter, votata proprio a quella credibilità ora in pericolo. Uno scontro che diventerà presto una disputa mondiale, se non “multi-universale”, quello appunto tra bene e male in cui, non si fa che ripeterlo continuamente, adesso ognuno deve scegliere da che parte stare; in cui addirittura, non va dimenticato, Asriel progetta di attentare alla vita di Dio (l’Autorità) “in persona”.
Una lotta di dimensioni enormi le cui sorti, però, sembrano essere affidate, almeno secondo il clan di Serafina Pekkala, alla “bambina della >profezia” e di riflesso al destino del ragazzo con cui Lyra scopre di essere legata. Due “prescelti” che quindi non hanno scelto di essere investiti come tali, da parte di quegli adulti che li hanno invece abbandonati nelle fasi cruciali della loro crescita. I due oggetti, i simboli della loro unicità, ossia la “Bussola d’Oro” per Lyra e la “Lama Sottile” per Will, saranno le loro guide materiali, certo, ma al tempo stesso potrebbero essere la loro condanna.
Come si diceva, concetti complessi e profondi, responsabilità monumentali come non mai, attraverso lo sguardo e sulle spalle di due ragazzini.
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.