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Con un calo vistoso per quanto riguarda gli spettatori e con un inizio non di certo scoppiettante, anche per quanto riguarda le vicende pregresse, Homeland ha dato inizio ad una stagione conclusiva che probabilmente sarà un qualcosa di diverso da quanto immaginato inizialmente.
Showtime non sembra più puntare regolarmente su quello che è stato uno degli show migliori, probabilmente il migliore, della propria gloriosa storia televisiva. Gli sceneggiatori hanno, forse troppo frettolosamente accantonato le problematiche psicologiche di Carrie, rinchiusa per quasi un anno in cella, mettendo al centro un differente io, quello che, come ricordato in precedenza, la avvicina pericolosamente alla situazione in cui si è trovato Brody nella prima scintillante stagione della serie.
Un rimando nostalgico ed energico che riconcilia Homeland col suo passato dando rilevanza assoluta alla protagonista e rimettendo in gioco la figura che più di tutte aveva dato colore alla stagione precedente, quella di Yevgeny.
Non è stato però tutto rose e fiori, anzi, gli episodi precedenti hanno confermato un trend forse troppo statico che ha però messo al centro di tutto un elemento molto ricorrente in ogni episodio dello show, un elemento tra l’altro molto americano e che probabilmente conferma più di ogni altro il lato di Homeland che in questa ultima tornata i writer andranno ad approfondire: la paranoia.
In un certo senso chi ha guardato tutto l’arco narrativo sarà già ben avviato all’argomento, una Spy Story dopo tutto vive intrinsecamente in quella direzione, andando ad esplorare complotti e tradimenti che in una vita complessa, spesso spezzata e mai privata come quella di un agente della CIA, sono per forza di cose pane quotidiano. Mai come in questo caso però questo sentimento viene fuori nel terrore generale e nella paura di tutti i protagonisti.
È nel dubbio che si genera il principale plot narrativo del terzo episodio, che rappresenta ancora un set-up, e vede Carrie tentare di reclutare Yevgeny. Come è stato possibile osservare in precedenza esiste una storia pregressa tra i due personaggi ma la prima non ha forti memorie a riguardo avendo rimosso quasi del tutto il suo tempo in prigionia; ed è proprio in questo caso che nasce il dubbio. Lo scenario è confuso, Dunne crede che la protagonista possa essere in realtà stata reclutata dai russi in tempo di prigionia e la fa osservare per confermare i suoi sospetti, mentre dall’altra parte, apparentemente con le migliori intenzioni (meglio non escludere nulla in questi frangenti introduttivi) Carrie è convinta di poter portare Yevgeny dalla sua parte.
Nel mix di eventi quello che è passato più inosservato è stato il comportamento del russo, che in teoria potrebbe aver orchestrato questa situazione per ammassare ancora più sospetti sull’agente della CIA che è facilmente riuscita a smascherare il comportamento di Jenna, mandata proprio da Dunne per capire di che natura sarebbe stato l’incontro.
Il momento del meeting tra l’altro non è per nulla chiarificatore; proprio come Carrie infatti, lo spettatore si ritrova, in un gioco di immedesimazione molto raffinato a dubitare delle intenzioni di Yevgeny, in primo luogo perché per Dunne è difficile capire gran parte di quello che i due si dicono; in secondo perché al pari della protagonista chi guarda ha una conoscenza solo parziale dei fatti e non conosce la reale capacità di manipolazione che una spia può esercitare sull’altra.
“False Friends” ripercorre, oltre alle tracce di Carrie, quelle di Saul, altro storico protagonista dello show, rapito dai terroristi che in questo caso dimostrano dimostrano di avere anche loro dei “falsi amici”, forse anche qualcosa in più. Nell’organizzare l’assassinio di Haqqani, in un rimando quasi alla Roma antica, è addirittura il figlio a prendere il posto di carnefice, un po’ come Bruto con Giulio Cesare. In questo caso però Giulio Cesare non muore e inizia a sospettare che siano gli americani ad aver ordinato al figlio di toglierlo di mezzo. Dopo varie rassicurazioni da parte di Saul, Haqqani decide di liberare il figlio e organizzare un’operazione di sorveglianza non troppo diversa da quella di Dunne nei confronti di Carrie. C’è da scommettere in questo caso che difficilmente il gesto pagherà e anzi tornerà indietro per distruggere un personaggio che, più di uno spietato terrorista, dimostra di essere uno stratega di basso livello.
Tuttavia è risaputo che bisogna tenere vicini gli amici ed ancora più vicini i nemici, soprattutto se sono i più stretti (e falsi).
Showtime non sembra più puntare regolarmente su quello che è stato uno degli show migliori, probabilmente il migliore, della propria gloriosa storia televisiva. Gli sceneggiatori hanno, forse troppo frettolosamente accantonato le problematiche psicologiche di Carrie, rinchiusa per quasi un anno in cella, mettendo al centro un differente io, quello che, come ricordato in precedenza, la avvicina pericolosamente alla situazione in cui si è trovato Brody nella prima scintillante stagione della serie.
Un rimando nostalgico ed energico che riconcilia Homeland col suo passato dando rilevanza assoluta alla protagonista e rimettendo in gioco la figura che più di tutte aveva dato colore alla stagione precedente, quella di Yevgeny.
Non è stato però tutto rose e fiori, anzi, gli episodi precedenti hanno confermato un trend forse troppo statico che ha però messo al centro di tutto un elemento molto ricorrente in ogni episodio dello show, un elemento tra l’altro molto americano e che probabilmente conferma più di ogni altro il lato di Homeland che in questa ultima tornata i writer andranno ad approfondire: la paranoia.
In un certo senso chi ha guardato tutto l’arco narrativo sarà già ben avviato all’argomento, una Spy Story dopo tutto vive intrinsecamente in quella direzione, andando ad esplorare complotti e tradimenti che in una vita complessa, spesso spezzata e mai privata come quella di un agente della CIA, sono per forza di cose pane quotidiano. Mai come in questo caso però questo sentimento viene fuori nel terrore generale e nella paura di tutti i protagonisti.
È nel dubbio che si genera il principale plot narrativo del terzo episodio, che rappresenta ancora un set-up, e vede Carrie tentare di reclutare Yevgeny. Come è stato possibile osservare in precedenza esiste una storia pregressa tra i due personaggi ma la prima non ha forti memorie a riguardo avendo rimosso quasi del tutto il suo tempo in prigionia; ed è proprio in questo caso che nasce il dubbio. Lo scenario è confuso, Dunne crede che la protagonista possa essere in realtà stata reclutata dai russi in tempo di prigionia e la fa osservare per confermare i suoi sospetti, mentre dall’altra parte, apparentemente con le migliori intenzioni (meglio non escludere nulla in questi frangenti introduttivi) Carrie è convinta di poter portare Yevgeny dalla sua parte.
Nel mix di eventi quello che è passato più inosservato è stato il comportamento del russo, che in teoria potrebbe aver orchestrato questa situazione per ammassare ancora più sospetti sull’agente della CIA che è facilmente riuscita a smascherare il comportamento di Jenna, mandata proprio da Dunne per capire di che natura sarebbe stato l’incontro.
Il momento del meeting tra l’altro non è per nulla chiarificatore; proprio come Carrie infatti, lo spettatore si ritrova, in un gioco di immedesimazione molto raffinato a dubitare delle intenzioni di Yevgeny, in primo luogo perché per Dunne è difficile capire gran parte di quello che i due si dicono; in secondo perché al pari della protagonista chi guarda ha una conoscenza solo parziale dei fatti e non conosce la reale capacità di manipolazione che una spia può esercitare sull’altra.
“False Friends” ripercorre, oltre alle tracce di Carrie, quelle di Saul, altro storico protagonista dello show, rapito dai terroristi che in questo caso dimostrano dimostrano di avere anche loro dei “falsi amici”, forse anche qualcosa in più. Nell’organizzare l’assassinio di Haqqani, in un rimando quasi alla Roma antica, è addirittura il figlio a prendere il posto di carnefice, un po’ come Bruto con Giulio Cesare. In questo caso però Giulio Cesare non muore e inizia a sospettare che siano gli americani ad aver ordinato al figlio di toglierlo di mezzo. Dopo varie rassicurazioni da parte di Saul, Haqqani decide di liberare il figlio e organizzare un’operazione di sorveglianza non troppo diversa da quella di Dunne nei confronti di Carrie. C’è da scommettere in questo caso che difficilmente il gesto pagherà e anzi tornerà indietro per distruggere un personaggio che, più di uno spietato terrorista, dimostra di essere uno stratega di basso livello.
Tuttavia è risaputo che bisogna tenere vicini gli amici ed ancora più vicini i nemici, soprattutto se sono i più stretti (e falsi).
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Homeland ha preso bene il via nei primi tre episodi, il plot sembra rivisto ma tutto sommato abbastanza accattivante e la sensazione generale di paranoia diffusa più che giustificata. In qualche modo anche le situazioni di Carrie e Saul, i due veri cuori pulsanti dello show, appaiono essere in grande sintonia. Vedremo come e se i due sapranno districarsi in un clima così complicato.
Catch And Release 8×02 | 0.68 milioni – 0.1 rating |
False Friends 8×03 | 0.71 milioni – 0.1 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.