Dopo aver allargato la narrazione dell’invasione al di fuori degli USA ed aver dato un accenno decisamente interessante di chi (o cosa) si starebbe palesando sulla Terra, Invasion si prende subito una gigantesca pausa narrativa preferendo ancora una volta temporeggiare nel racconto di questi fantomatici alieni esponendo piuttosto le diatribe famigliari ed i drammi già preannunciati dai precedenti episodi. Scelta valida? Difficile dare una valutazione generale del prodotto dopo sole tre puntate, tuttavia fino ad ora il prodotto Apple TV+ si è presentato ben lontano da qualsiasi altro tipo di show (o film) dello stesso genere.
C’è profondità nei personaggi e nel tentativo di accattivare il pubblico con un racconto incentrato al dramma (con una certa desolata punta di romanticismo), ma si tratta di qualcosa di inconcludente considerata la piattezza di alcuni personaggi.
Gli attacchi che si stanno verificando in tutto il mondo e l’annuncio alla tv che si tratta del “peggior attacco terroristico dall’11 settembre” fanno fremere quella parte di pubblico che, come detto nella precedente recensione, già si pregustava un prodotto simile ad Independence Day. Salvo poi dimostrarsi come verità fallace dal momento che a parte qualche fuocherello da uno schermo di una tv, “Orion”, non concede ulteriori speranze al proprio pubblico. Un risvolto narrativo che crea non poco fastidio.
IL SIGNORE DELLE MOSCHE
L’apertura della puntata si apre con il finale della precedente puntata, mostrando il solo Trevante come sopravvissuto dell’onda d’urto con cui si era chiuso il primo, inaspettato, contatto con i fantomatici alieni. Un’apertura che lascia ben sperare: se si decide di ripartire da lì, probabilmente, c’è l’intenzione di mostrare qualcosa di più dell’alieno, dei suoi effetti e di cosa sta accadendo. Ebbene, il minutaggio di Trevante si circoscrive ad improbabili dialoghi pashtu-inglesi in cui né il pubblico, né i personaggi in scena capiscono esattamente cosa sta accadendo. Tempo perso.
A Tokyo ben poco si aggiunge rispetto a quanto visto nei precedenti episodi, fatta eccezione per la parola “wojo” che viene filtrata come ultimo audio raccolto dalla navicella spaziale prima dell’esplosione e che già si era palesata all’interno dello show quando il piccolo Luke sembrava essere assordato da un rumore non percepito da altri. Quasi comico la modalità in cui si arriva a questa informazione: Mitsuki, visibilmente ancora scossa dagli avvenimenti, sottrae badge ed informazioni dalla centrale operativo dell’agenzia spaziale giapponese e, senza nemmeno impegnarsi nella fuga, si chiude all’interno di una stanza dalla quale riesce a recuperare tutto quello che le occorre visionando le telecamere interne dello shuttle. Il lato comico non è tanto riguardante il lato informatico, quanto piuttosto quello action che sembra uscito dai peggiori B-movie di categoria.
Un peccato, in realtà, questo staticismo nella sottotrama di Tokyo visto che si tratta di quella potenzialmente più interessante, considerato l’incidente spaziale e ciò che lo ha scatenato.
Caspar e compagni ben poco apportano in termini di coinvolgimento: si tratta di una sequenza di sceneggiatura totalmente incentrata al teen drama con antipatie, simpatie, storie d’amore, doppi giochi, leadership improponibili e quant’altro. Niente di nuovo, quindi, anche se è da segnalare una certa somiglianza (almeno del contesto generale) con il romanzo di William Golding, Il Signore Delle Mosche. Chissà se, via via con il passare degli episodi, questa trama riuscirà a rendersi in minima parte interessante come il romanzo chiamato in causa.
SINDROME DI ELISABETH MOSS
A New York, invece, continua la fuga disperata di Aneesha e Ahmed con i propri figli. Una fuga in cui la madre si dimostra pronta a scendere a patti con la propria morale non per salvaguardare se stessa (cosa che la differenzia dal marito che già in precedenza aveva tentato la fuga abbandonando la famiglia), quanto piuttosto i due figli, Luke e Sarah.
Una sottotrama incentrata al contesto famigliare fatto a brandelli non solo dalla situazione di disperata emergenza che si sta vivendo, ma anche dalla rivelazione del tradimento di Ahmed rivelata durante il primo episodio. Un minutaggio che sarebbe anche godibile se Golshifteh Farahani non soffrisse della Sindrome di Elisabeth Moss: qualsiasi scena che possa anche solo richiamare un minimo di tensione nello spettatore viene amplificata dalla musica di accompagnamento e dal volto ripreso in primissimo piano di Aneesha sempre affranta dalla vita. Esattamente come June in The Handmaid’s Tale, in pratica. Anche se le premesse sono notevolmente differenti visto che nello show Hulu quantomeno lo spettatore ha coscienza di cosa abbia timore o paura la donna.
Qui no.
Ci sono delle luci in lontananza che si spengono? Musica di accompagnamento e primo piano di Aneesha basita.
Ahmed viene preso a pugni in un parcheggio? Musica di accompagnamento, Aneesha in primo piano, F4-Basita. Scene copia-incolla che si possono apprezzare le prime due, tre volte ma che assumono ben presto il contorno di tecnicismo spiccio fatto tanto per darsi un tono. A conti fatti, forse, la mancanza di alieni in uno show che si intitola “Invasion” non è nemmeno il primo dei mali.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Avere Max Ritcher che confeziona una sigla d’altissimo livello non basta. Servirebbe anche una storia che crei un minimo d’interesse. E qualche alieno non farebbe certo schifo.
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.