0
(0)
Quando nella precedente recensione si era andato a scomodare il paragone con The Leftovers non si stava alludendo alla semplice presenza in scena di Justin Theroux. Maniac ha la stessa abilità del prodotto di casa HBO di trascinare lo spettatore in uno splendido affresco della realtà umana e della complicata psicologia dei personaggi che è intenzionata a raccontare. La differenza viscerale tra i due prodotti è il contesto della narrazione: The Leftovers cercava di cogliere le sfumature sociali successive ad un evento inspiegabile ed irrazionale; Maniac, invece, viene ambientato in una realtà che pur non apparendo dispotica risulta essere quanto meno oppressiva e dura per le persone più fragili caratterialmente. Owen ed Annie sono proprio tra quest’ultimi, nonostante il personaggio interpretato da Emma Stone sembra voler costruire attorno a sé una robusta recinzione dietro cui nascondersi all’occhio esterno (e dello spettatore, quindi).
Dopo un primo episodio fortemente incentrato su Owen e sul suo peculiare modo di relazionarsi, “Windmills” cerca di approfondire e raccontare parte della storia che si è già avuto modo di vedere nel pilot dal punto di vista di Annie. Effettivamente la storia rimane statica sotto determinati aspetti, ma risulta utile per conoscere il lato nascosto di Annie e soprattutto per avere un minimo di background relativamente al suo personaggio.
La puntata è costruita attorno a false informazioni che lo spettatore realizza di avere solo al termine della puntata stessa quando il potente plot twist rivela qualcosa di molto più doloroso relativamente al passato di Annie rispetto a quanto ci si potesse attendere. Anche se, volendo fare i puntigliosi, alcune avvisaglie di tale dolore erano state lasciate qui e là durante l’episodio.
La routine giornaliera di Annie appare come quella di una junkie, così come gli impegni. I primi segnali che qualcosa di ben più importante si nasconda sotto quella scorza di finta tranquillità arrivano quando, parlando con una adBuddy, la ragazza rivela di andare a Salt Lake City per trovare la sorella con cui tempo prima ha avuto un terribile litigio. Un litigio, a sua detta, irreparabile. Partendo da questo assunto, lo spettatore interpreta la mancata partenza come una paura del confronto che avrebbe avuto con la sorella, una paura del proprio passato, per quel litigio che aveva detto essere impossibile fare ammenda.
La reazione appare in linea con il personaggio fin lì presentato: diretto e spietato all’esterno, ma solo per celare una fragilità quasi fanciullesca.
Annie cerca quindi di trovare conforto nell’unica cosa che sembra poterla fare stare meglio (ossia farla rimanere quasi in stato comatoso bloccata sul divano): le pasticche che ad inizio puntata ha sniffato con fare esperto. Tuttavia, per poterle reperire finisce per doversi iscrivere (e ricattare per poter successivamente entrare) allo stesso trial farmaceutico a cui è iscritto anche Owen. Ecco quindi che le scene sul finire della scorsa puntata vengono riproposte sullo schermo, con l’unica differenza che a variare è il punto di ripresa. Il focus non è più Owen che osserva inebetito Annie, ma Annie che è disposta a fare di tutto pur di riavere la propria dose di pasticche.
Sarà proprio il trial (o quanto meno la prima parte dello stesso) a ridisegnare la routine giornaliera di Annie ed a rompere la scontrosità con la quale cerca di difendersi. Il litigio con la sorella non è sanabile per un semplice e tremendo motivo: Ellie, interpretata da Julia Garner (Ozark), è morta in un incidente automobilistico di cui Annie si sente estremamente colpevole. Ecco quindi che in una manciata di secondi tutto prende ad avere un significato diverso.
Annie che affigge annunci di scomparsa di un cane (scomparso da sette anni) altro non è che un coping mechanism, una strategia di adattamento psicologico al dolore che la giovane sta silenziosamente covando e sopportando ormai da anni.
Assume tutto un significato diverso anche il tentativo di fuga verso Salt Lake City tramite un treno: il tentativo di raggiungere la sorella rappresenta una fuga dalla realtà, dalla vita di stenti che è costretta a fare e da tutto ciò di terribile che la blocca. Tuttavia, partire verso Salt Lake City significa anche fare definitivamente i conti con la morte di Ellie. Vuol dire accettare l’accaduto e smetterla di incolparsi. Un passo che Annie sembra non essere ancora pronta ad affrontare. Un’altra serie (questa volta inglese) ha cercato di costruire attorno ad un avvenimento molto simile la propria storia: Fleabag, alla cui sceneggiatura ha lavorato Phoebe Waller-Bridge, madre di tale creatura seriale.
La puntata si conclude nel momento più alto e lascia letteralmente con il fiato sospeso, proprio come Emma Stone che affranta e psicologicamente provata cerca di recuperare un minimo di lucidità appena terminato il primo dei tre passaggi del trial a cui si è volontariamente voluta sottoporre. Anche se, rispetto ad Owen, per motivi completamente diversi.
Nota a margine: nella scorsa recensione era stato fatto notare il particolare del cubo di Rubik raccolto da Owen, è d’obbligo quindi far notare come in questa puntata ricorra il secondo oggetto di quella determinata scena. Annie infatti nella propria valigia va ad inserire proprio la copia del Don Chisciotte della Mancia di Cervantes che aveva raccolto ad inizio di “The Chosen One!“. Insomma, un amore per i dettagli che risulta impossibile non apprezzare.
Dopo un primo episodio fortemente incentrato su Owen e sul suo peculiare modo di relazionarsi, “Windmills” cerca di approfondire e raccontare parte della storia che si è già avuto modo di vedere nel pilot dal punto di vista di Annie. Effettivamente la storia rimane statica sotto determinati aspetti, ma risulta utile per conoscere il lato nascosto di Annie e soprattutto per avere un minimo di background relativamente al suo personaggio.
La puntata è costruita attorno a false informazioni che lo spettatore realizza di avere solo al termine della puntata stessa quando il potente plot twist rivela qualcosa di molto più doloroso relativamente al passato di Annie rispetto a quanto ci si potesse attendere. Anche se, volendo fare i puntigliosi, alcune avvisaglie di tale dolore erano state lasciate qui e là durante l’episodio.
La routine giornaliera di Annie appare come quella di una junkie, così come gli impegni. I primi segnali che qualcosa di ben più importante si nasconda sotto quella scorza di finta tranquillità arrivano quando, parlando con una adBuddy, la ragazza rivela di andare a Salt Lake City per trovare la sorella con cui tempo prima ha avuto un terribile litigio. Un litigio, a sua detta, irreparabile. Partendo da questo assunto, lo spettatore interpreta la mancata partenza come una paura del confronto che avrebbe avuto con la sorella, una paura del proprio passato, per quel litigio che aveva detto essere impossibile fare ammenda.
La reazione appare in linea con il personaggio fin lì presentato: diretto e spietato all’esterno, ma solo per celare una fragilità quasi fanciullesca.
Annie cerca quindi di trovare conforto nell’unica cosa che sembra poterla fare stare meglio (ossia farla rimanere quasi in stato comatoso bloccata sul divano): le pasticche che ad inizio puntata ha sniffato con fare esperto. Tuttavia, per poterle reperire finisce per doversi iscrivere (e ricattare per poter successivamente entrare) allo stesso trial farmaceutico a cui è iscritto anche Owen. Ecco quindi che le scene sul finire della scorsa puntata vengono riproposte sullo schermo, con l’unica differenza che a variare è il punto di ripresa. Il focus non è più Owen che osserva inebetito Annie, ma Annie che è disposta a fare di tutto pur di riavere la propria dose di pasticche.
Sarà proprio il trial (o quanto meno la prima parte dello stesso) a ridisegnare la routine giornaliera di Annie ed a rompere la scontrosità con la quale cerca di difendersi. Il litigio con la sorella non è sanabile per un semplice e tremendo motivo: Ellie, interpretata da Julia Garner (Ozark), è morta in un incidente automobilistico di cui Annie si sente estremamente colpevole. Ecco quindi che in una manciata di secondi tutto prende ad avere un significato diverso.
Annie che affigge annunci di scomparsa di un cane (scomparso da sette anni) altro non è che un coping mechanism, una strategia di adattamento psicologico al dolore che la giovane sta silenziosamente covando e sopportando ormai da anni.
Assume tutto un significato diverso anche il tentativo di fuga verso Salt Lake City tramite un treno: il tentativo di raggiungere la sorella rappresenta una fuga dalla realtà, dalla vita di stenti che è costretta a fare e da tutto ciò di terribile che la blocca. Tuttavia, partire verso Salt Lake City significa anche fare definitivamente i conti con la morte di Ellie. Vuol dire accettare l’accaduto e smetterla di incolparsi. Un passo che Annie sembra non essere ancora pronta ad affrontare. Un’altra serie (questa volta inglese) ha cercato di costruire attorno ad un avvenimento molto simile la propria storia: Fleabag, alla cui sceneggiatura ha lavorato Phoebe Waller-Bridge, madre di tale creatura seriale.
La puntata si conclude nel momento più alto e lascia letteralmente con il fiato sospeso, proprio come Emma Stone che affranta e psicologicamente provata cerca di recuperare un minimo di lucidità appena terminato il primo dei tre passaggi del trial a cui si è volontariamente voluta sottoporre. Anche se, rispetto ad Owen, per motivi completamente diversi.
Nota a margine: nella scorsa recensione era stato fatto notare il particolare del cubo di Rubik raccolto da Owen, è d’obbligo quindi far notare come in questa puntata ricorra il secondo oggetto di quella determinata scena. Annie infatti nella propria valigia va ad inserire proprio la copia del Don Chisciotte della Mancia di Cervantes che aveva raccolto ad inizio di “The Chosen One!“. Insomma, un amore per i dettagli che risulta impossibile non apprezzare.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
Un episodio dal sapore di secondo pilot, ma è tutto giusto così.
The Chosen One! 1×01 | ND milioni – ND rating |
Windmills 1×02 | ND milioni – ND rating |
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Tags:
Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.