Marvel’s Agents Of S.H.I.E.L.D. 7×13 – What We’re Fighting ForTEMPO DI LETTURA 6 min

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“You mess with a man’s family, all bets are off.” (Coulson, MAOS 3×18)

 

Marvel’s Agents Of SHIELD giunge al termine del proprio personale viaggio dopo quasi sette anni di messa in onda e 136 episodi. Dopo aver superato tradimenti, morti importanti, improbabili ritorni, viaggi nello spazio più profondo, realtà parallele, entità nemiche ed altre amiche, in conclusione è riuscito a costruire dalle ceneri di un team che ormai aveva dato tutto al pianeta Terra qualcosa di ancora più profondo: una famiglia. Perché sì, per quanto a livello logico i legami tra i singoli personaggi ormai trascendessero l’aspetto lavorativo e sforassero nella pura e semplice amicizia, occorreva un punto di vero e proprio distacco per poter conclamare la nascita di questa famiglia.
Una famiglia nata soprattutto grazie a Phil Coulson (di cui ora sopravvive solo la versione LMD), ma anche grazie agli spietati insegnamenti di Melinda May, the Cavalry, che anche in questa puntata si dimostra fondamentale, anche se sotto un punto di vista diametralmente opposto a quello con cui era stata inizialmente presentata nel pilot. L’agente May, dopo lo scontro con Izel, inizia a coltivare dentro di sé una sorta di empatia amplificata tramite la quale le risulta semplice individuare le sensazioni e gli stati d’animo di chi la circonda. Sarà quindi lei l’arma finale, unitamente all’apporto di Kora, per sconfiggere Sybil ed il suo esercito di Chronicom. Un finale sotto molti punti di vista molto semplicistico e veloce nella sua risoluzione: l’attacco a Sybil è rapido senza nessun vero colpo di scena; così come appare molto fortuito e a favor di trama l’intera parte del Faro in cui Fitz e Simmons riescono a prendere controllo senza alcun tipo di difficoltà. Parallelamente, risulta altrettanto conveniente la sopravvivenza di Daisy, sacrificatasi per eliminare Malick e riportata in vita da Kora. Uno scontro, quindi, rapido, conveniente ed eccessivamente semplice.

 

Simmons: “I had to write it down. Fitz. I knew from the moment I saw you, from our first conversation about dielectric polarization, that you’d be in my life for a long time. But I didn’t know… you would be my life. My heart. My home. We joined this team for adventures and got more than we had hoped… but I can’t wait for our next adventure… building a family together. My love for you grows deeper and always will, no matter where the universe takes us next.”
Coulson: “Agent Fitz?”
Fitz: “Um. Okay. Um. I have been thinking about what to say. Uh. Just… Words don’t really seem enough. Here. I think that you are perfect. And, um… I don’t deserve you, Jemma. I don’t. I don’t deserve you. And I’m well-aware that I’m the luckiest man on any planet.” (MAOS 5×12)

 

Ma è in questa semplicità che fa da sfondo che MAOS si esalta andando a ricostruire, grazie a Fitz e Jemma, tutto ciò che è realmente avvenuto tra “New Life” e “The New Deal”. Sono stati Fitz e Jemma a costruire la macchina del tempo, la versione LMD di Coulson e l’impianto della memoria di Simmons in un periodo, sospeso nel tempo, in cui i due sono diventati a tutti gli effetti una famiglia. Alya, la futura madre di Deke, è la figlia, nata sospesa nel tempo e nello spazio. La coppia, dopo essere riuscita a completare tutti i marchingegni di cui sopra torna, a ridosso del finale della scorsa stagione, da Piper e Flint (già in precedenza incontrati prima di iniziare il periodo sabbatico-lavorativo per recuperare una porzione del monolite).
L’agente Shield e l’inumano vengono assoldati da Jemma per proteggere il nucleo contenitivo di Fitz (che ricomparirà solo a giochi praticamente chiusi, nello scorso episodio), ma soprattutto quello di Alya, ormai cresciuta.
In questo preciso punto, poco prima che lo Zephyr svanisca nel nulla (dando il là alla narrazione di questa settima stagione con “The New Deal”), passato, presente e futuro si intersecano permettendo ai protagonisti in scena di ricongiungersi, sconfiggere i Chronicom e poter finalmente tirare un sospiro di sollievo avendo fatto finalmente ritorno alla propria realtà (tramite il Quantum Realm, già apparso in Ant-Man e in Avengers: Endgame).
La pace viene ristabilita in circa mezz’ora di puntata. Come detto, la conclusione appare molto semplicistica, ma la perfezione con cui i tasselli si intersecano per districare la matassa rende onore al team di sceneggiatori, alla serie e al finale stesso. Il sentimentalismo e una forte carica nerd riescono a colmare i buchi lasciati da un’esposizione a tratti eccessivamente banale.
Dopo questa conclusione raffazzonata nei modi, MAOS si concede tempo (per la precisione un anno di salto in avanti) per ripresentare i suoi personaggi principali e le nuove mansioni, lavorative o di vita, a cui ora si ritrovano strettamente legati. D’altra parte Enoch aveva sottolineato come quella contro i Chronicom sarebbe stata la loro ultima missione insieme. Al team sopravvive però la famiglia creata da Coulson che, annualmente, si ritrova (tramite ologramma) al Krazy Kanoe.
Mack continua a ricoprire il proprio ruolo di direttore (e dal vestiario sembra ricordare un novello Nick Fury), con Yo-Yo al suo fianco come miglior agente; May è diventata una professoressa alla SHIELD’s Coulson Academy, in cui Flint è studente; Fitz e Simmons sono ufficialmente agenti ritirati, ma impegnati con una nuova vita, quella familiare, con Alya; Daisy, Sousa e Kora sono degli astro abassadors; Coulson, a cui viene dedicata l’ultima sequenza della serie, viaggia per il mondo su una versione restaurata della sua Chevrolet Corvette del 1962, Lola. Ognuno sembra aver trovato il proprio posto nel mondo, quindi.
Da team, questo insipido gruppo di agenti ha trovato il modo di diventare qualcosa di più, una famiglia. E lo spettatore, insieme a loro, non può che sentirsene parte.
Menzione d’onore va fatta a Deke Shaw: per tornare nell’Universo A, la macchina del tempo necessitava di qualcuno che fosse pronto a sacrificarsi per restare nella realtà alternativa ad attivare il macchinario. Deke, che presumibilmente diventerà il nuovo direttore dello Shield in questa realtà, compie questo estremo sacrificio. Un sacrificio, anche in questo caso, gestito in maniera molto raffazzonata e rapida e che avrebbe meritato (visto il peso del personaggio all’interno dello show) sicuramente maggiore spazio e non un commiato di pochi, banalissimi secondi.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Fitz e Simmons che ricostruiscono gli avvenimenti
  • Fitz, Simmons ed Alya
  • Da team a famiglia
  • Il fatidico momento “e dopo cosa succede?” portato in scena con un abile balzo in avanti nel tempo
  • L’intervento di Deke prima di decidere che sarà lui a sacrificarsi per il team (o sarebbe meglio dire per la famiglia)
  • Commiato di ogni singolo personaggio
  • Struggente, dal punto di vista sentimentale, l’addio dei personaggi
  • Coulson e Lola
  • Tutto molto, forse troppo, rapido
  • L’insipido sacrificio di Deke
  • Sconfitta di Sybil e dei Chronicom estremamente semplice

 

“This is what we were fighting for. Family.”

 

The End Is At Hand 7×12 1.46 milioni – 0.4 rating
What We’re Fighting For 7×13 1.46 milioni – 0.4 rating

 

 

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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.

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