Spesso, quando si parla delle serie tv Marvel realizzate da Netflix, si sostiene che esse non rappresentino un esperimento totalmente riuscito e che, quindi, possano essere considerate un mezzo passo falso se si considerano le potenzialità iniziali. Sul banco degli imputati, ovviamente, non può che finire Iron Fist, decisamente il prodotto meno riuscito sotto praticamente ogni punto di vista (dalle capacità attoriali del protagonista, ai combattimenti non eccelsi soprattutto nella prima stagione, a dei personaggi secondari quasi imbarazzanti) e che si è riuscito a riscattare solo parzialmente nella seconda stagione. Non esenti da colpe sono, però, anche Jessica Jones e Luke Cage, che sono stati caratterizzati da significativi alti e bassi. La colpa, nei loro casi, può essere attribuita anche all’ostinazione con la quale Netflix ha deciso di proseguire con il suo classico formato da 13 episodi della durata di 50 minuti (spesso anche di più, visto che alcune puntate di Iron Fist hanno superato l’ora); questo formato, indubbiamente, negli anni ha regalato molte soddisfazioni alla piattaforma, ma era abbastanza evidente che gli show con protagonisti Krysten Ritter, Mike Colter e Finn Jones non avessero materiale e personalità sufficiente per coprire efficacemente una durata simile (aver ridotto a dieci gli episodi della seconda stagione di Iron Fist è stato un aggiustamento tardivo).
Per questa serie di motivi, dopo le piacevoli parentesi di The Defenders e The Punisher, accogliamo con ancora più lietezza il ritorno di Marvel’s Daredevi: non solo, quindi, perché qualitativamente sempre ottimo, ma anche perché, dopo le stagioni degli altri supereroi (buone ma non eccelse), si torna finalmente a vedere il duo Marvel/Netflix al suo massimo potenziale.
Matt: “God murdered all ten of his children in cold blood. Scorched every inch of Job’s land. Lashed at his body till his skin was covered in bloody welts. God rained shit and misery on the life of his most perfect servant. And still Job would not curse him. You know what I realized? Job was a pussy. You see, that was me, Sister. I suffered willingly. I gave my, uh sweat and blood and skin without complaint. Because I too believed I was God’s soldier. Well, not anymore.”
Come ampiamente prevedibile, dato il finale di The Defenders, questa stagione non poteva iniziare come le precedenti due, ossia con una situazione di quiete destinata a spezzarsi nel giro di poco tempo. Quello a cui si è assistito, in questa première, è il punto più basso mai toccato da Matt Murdoch, ferito nel corpo e nell’anima. Oltre a quello fisico, c’è un palazzo metaforico ancora più grande crollato sulle sue spalle. Oltre ad aver perso per la seconda volta nel giro di poco tempo Elektra, Matt si ritrova privo di punti di riferimento e in preda anche a fenomeni depressivi. Per circa metà puntata, infatti, lo si vede assolutamente spento, senza alcuna voglia di rimettersi in sesto e di rimboccarsi le maniche. Solo i discorsi di suor Mary riescono a smuovere il suo orgoglio.
Giunti a questo punto, gli sceneggiatori avrebbero potuto intraprendere due strade. La prima, molto più facile, vedeva Matt ricominciare ad allenarsi e a riprendere possesso dei suoi sensi, per poi tornare a sconfiggere le persone nei combattimenti e a ricongiungersi coi suoi amici. Fortunatamente, si è scelto di non far scadere un prodotto di questa qualità al livello della classica storia di redenzione in 53 minuti netti. Dopo pochi minuti incoraggianti, infatti, è apparso chiaramente come Matt abbia davanti a sé una lunghissima strada, e non solo perché le sue capacità di combattimento sono ancora molto precarie: l’aspetto più preoccupante, infatti, è il suo desiderio di essere pestato a morte dai due delinquenti che ha cercato inutilmente di battere. Il passaggio dell’arma ad uno dei criminali è il segnale più importante di un uomo che non sa più cosa fare della sua vita: se i tempi di Daredevil non torneranno prestissimo a giudicare dalle sue condizioni fisiche, come Matt Murdoch non vede il motivo per cui la vita sia degna di essere vissuta. Se a questo si aggiunge il desiderio di allontanare definitivamente i suoi affetti, il quadro è chiaro.
Forse saremo ripetitivi, ma non possiamo che lodare la costruzione del personaggio e delle sue sofferenze in questo primo episodio. Senza voler girare ulteriormente il coltello nella piaga, è innegabile che questo show abbia uno stile, una precisione e una maturità neanche lontanamente comparabili con quello delle serie sorelle: facendo il paragone con Iron Fist (che è la più recente cronologicamente), il divario tra la recitazione di Cox e quella di Finn Jones è abissale, così come quella relativa ai combattimenti e alla costruzione dei personaggi secondari.
Fisk: “I have made many mistakes. But I accept the debt I’m paying because of them. But what I will not accept is that the woman that I love should have to pay for them, too. I would do anything to protect her. Anything.”
Parlando dei personaggi secondari, va sottolineato il ritorno di Wilson Fisk, pronto a riprendersi la scena. La vera sorpresa, però, è l’introduzione di Ray Nadeem, un agente FBI sicuramente onesto ma con gravi problemi di debiti. Tornando al discorso del paragrafo precedente, senza neanche scomodare il character di D’Onofrio (sarebbe umiliante per tutti i Ward, le Joy e i Davos di questo mondo), il modo in cui è stato presentato Nadeem è senza dubbio lodevole, perché in 10 minuti si riesce a caratterizzarlo in un modo sicuramente non molto originale ma efficace. Viste le sue difficoltà, è lecito attendersi un intrecciarsi dei suoi rapporti con Fisk, e sarà un’occasione per vedere di nuovo le sue capacità manipolative e, in generale, le qualità che lo hanno reso un villain memorabile.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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A Cold Day In Hell’s Kitchen 2×13 | ND milioni – ND rating |
Resurrection 3×01 | ND milioni – ND rating |
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Romano, studente di scienze politiche, appassionato di serie tv crime. Più il mistero è intricato, meglio è. Cerco di dimenticare di essere anche tifoso della Roma.