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Arrivati al giro di boa di questa seconda stagione, non si può non avere conferma dell’andamento decisamente decrescente della stagione. I primi tre episodi hanno decisamente strattonato lo spettatore che si era comodamente seduto per riprendere uno show lasciato un anno fa. Chi è avvezzo alla serialità di Netflix, soprattutto quella in società con la Marvel, sa bene che in 13 episodi (troppi) da 50 minuti almeno (troppi) non ci si può certo aspettare una costanza in termini di ritmo. A partire dal quarto episodio di questa stagione – il settimo non fa eccezione – i momenti soap non sono mancati. Momenti in cui il cervello va in stand-by e davanti allo schermo vi è solo un vuoto sguardo vitreo che spinge a far tornare indietro l’episodio di alcuni minuti.
Ma sarebbe ingiusto limitarsi a considerare i momenti statici di The Punisher unicamente come dozzinali scene soap operistiche. Si pensi alla sequenza in cui Madani fa la doccia, oppure quando la psicologa per l’ennesima volta simula un volo dalla finestra. La natura quasi psichedelica delle immagini, riferite anche alla percezione interna delle due donne (ma anche a Billy Russo capita spesso, con i flash del suo antagonista), fa protendere questo capitolo dello show verso il genere del thriller psicologico. Con le dovute proporzioni, in certi momenti sembra di assistere ai particolari virtuosismi scenici di una serie come Hannibal, dove lo spettatore era accompagnato per mano all’interno delle distorsioni di personalità altamente disturbate.
A tal proposito è interessante la tematica ricorrente dell’evento traumatico di tutti i vari personaggi coinvolti. In generale Marvel’s The Punisher parte da un protagonista morto dentro, a cui è stato tolto tutto. Questa seconda stagione sembra voler ramificare questo evento particolare, conferendo ad ogni figura di un certo rilievo un motivo per evocare un particolare shock. Non a caso il titolo dell’episodio suggerisce proprio l’idea di una giornata storta (concetto altamente batmaniano), giornata storta come quella in cui Madani prende un proiettile in testa, o in cui Billy Russo viene martoriato da Frank Castle. Per quanto riguarda la psicologa, il personaggio finora più enigmatico, il suo disagio viene solo raccontato a voce. Ci si aspetta nel prossimo futuro che possa avere qualcosa in più da dire, soprattutto per l’importanza ai fini della trama. Non a caso, uno dei punti più fiacchi dell’episodio è proprio il suo confronto con Russo. Non tanto per l’amore violento sbocciato alla fine del precedente episodio – e se ci si pensa, neanche quello è il trionfo dell’originalità – quanto per il dialogo trito e ritrito tra i due che tocca banalissime questioni etiche e di identità. Si veda il discorso fatto prima sullo spettatore che si incanta di fronte allo schermo.
Ciò che fa effettivamente rumore in questo episodio è l’assenza di Amy, ma in generale di tutta la trama inerente la multinazionale, il tizio che è un prete e le foto da far sparire. Essendo in questo modo il tutto più unidirezionale, però, non si può negare che l’episodio fili più liscio, dando addirittura vita ad un cliffhanger che accende la curiosità di proseguire la visione. Ciò che colpisce è il modo in cui si è arrivati a mettere da parte quel lato della storia (se si fa eccezione al momento in cui Madani si informa a proposito dell’identità dell’altro villain, provando a identificarlo). Alla fine del precedente episodio, i personaggi, riuniti per decidere il da farsi, decidevano di procedere con una cosa alla volta, consci che non si sarebbe riuscito a combinare granché lottando su due fronti. Impossibile non pensare ad un riferimento meta-testuale. Come se gli stessi autori si stessero rendendo conto della difficoltà di sdoppiare la trama e riuscire a mantenere alta l’attenzione nei due casi.
Ed è proprio questo, come detto, che porta a seguire l’episodio con un po’ di attenzione in più, soprattutto con il climax delle ultime scene, in cui si è portati a rimanere con il fiato sospeso, grazie anche all’ambiguità della situazione: l’eroe (se così si può definire Frank Castle) diviene la causa di panico e di un apparente stato di shock di uno dei villain più odiosi di sempre, portandolo in una condizione di inferiorità, seppur spalleggiato da un’enorme quantità di cecchini.
Ma sarebbe ingiusto limitarsi a considerare i momenti statici di The Punisher unicamente come dozzinali scene soap operistiche. Si pensi alla sequenza in cui Madani fa la doccia, oppure quando la psicologa per l’ennesima volta simula un volo dalla finestra. La natura quasi psichedelica delle immagini, riferite anche alla percezione interna delle due donne (ma anche a Billy Russo capita spesso, con i flash del suo antagonista), fa protendere questo capitolo dello show verso il genere del thriller psicologico. Con le dovute proporzioni, in certi momenti sembra di assistere ai particolari virtuosismi scenici di una serie come Hannibal, dove lo spettatore era accompagnato per mano all’interno delle distorsioni di personalità altamente disturbate.
A tal proposito è interessante la tematica ricorrente dell’evento traumatico di tutti i vari personaggi coinvolti. In generale Marvel’s The Punisher parte da un protagonista morto dentro, a cui è stato tolto tutto. Questa seconda stagione sembra voler ramificare questo evento particolare, conferendo ad ogni figura di un certo rilievo un motivo per evocare un particolare shock. Non a caso il titolo dell’episodio suggerisce proprio l’idea di una giornata storta (concetto altamente batmaniano), giornata storta come quella in cui Madani prende un proiettile in testa, o in cui Billy Russo viene martoriato da Frank Castle. Per quanto riguarda la psicologa, il personaggio finora più enigmatico, il suo disagio viene solo raccontato a voce. Ci si aspetta nel prossimo futuro che possa avere qualcosa in più da dire, soprattutto per l’importanza ai fini della trama. Non a caso, uno dei punti più fiacchi dell’episodio è proprio il suo confronto con Russo. Non tanto per l’amore violento sbocciato alla fine del precedente episodio – e se ci si pensa, neanche quello è il trionfo dell’originalità – quanto per il dialogo trito e ritrito tra i due che tocca banalissime questioni etiche e di identità. Si veda il discorso fatto prima sullo spettatore che si incanta di fronte allo schermo.
Ciò che fa effettivamente rumore in questo episodio è l’assenza di Amy, ma in generale di tutta la trama inerente la multinazionale, il tizio che è un prete e le foto da far sparire. Essendo in questo modo il tutto più unidirezionale, però, non si può negare che l’episodio fili più liscio, dando addirittura vita ad un cliffhanger che accende la curiosità di proseguire la visione. Ciò che colpisce è il modo in cui si è arrivati a mettere da parte quel lato della storia (se si fa eccezione al momento in cui Madani si informa a proposito dell’identità dell’altro villain, provando a identificarlo). Alla fine del precedente episodio, i personaggi, riuniti per decidere il da farsi, decidevano di procedere con una cosa alla volta, consci che non si sarebbe riuscito a combinare granché lottando su due fronti. Impossibile non pensare ad un riferimento meta-testuale. Come se gli stessi autori si stessero rendendo conto della difficoltà di sdoppiare la trama e riuscire a mantenere alta l’attenzione nei due casi.
Ed è proprio questo, come detto, che porta a seguire l’episodio con un po’ di attenzione in più, soprattutto con il climax delle ultime scene, in cui si è portati a rimanere con il fiato sospeso, grazie anche all’ambiguità della situazione: l’eroe (se così si può definire Frank Castle) diviene la causa di panico e di un apparente stato di shock di uno dei villain più odiosi di sempre, portandolo in una condizione di inferiorità, seppur spalleggiato da un’enorme quantità di cecchini.
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Un episodio che a forza riporta l’azione al centro delle scene. A forza perché ci si stava rendendo conto che in episodi già di per sé lunghi si era costretti a sdoppiare sottotrame, dialoghi e dinamiche varie, rendendo troppo densa la narrazione. Il valore aggiunto è dato dalla sequenza finale, per come si presenta, ma soprattutto per quello che promette.
Nakazat 2×06 | ND milioni – ND rating |
One Bad Day 2×07 | ND milioni – ND rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.