“And tell your mother… we have a deal.”
Come era già avvenuto la volta scorsa con “Blackbird“, anche questa settimana ci si ritrova di fronte ad un episodio di chiara natura transitoria e focalizzato, principalmente, sull’approfondimento psicologico dei caratteri e sul cammino evolutivo (o involutivo) dei protagonisti. Ed esattamente come nella scorsa puntata, anche qui l’azione viene relegata a pochi ma significativi episodi, nello specifico l’incontro tra Michael e Luca Changretta e lo scontro a fuoco tra quest’ultimo e Aberama Gold, entrambi contraddistinti da una regia curata ma frenetica in grado di tenere alta la tensione dello spettatore, nonostante appaia abbastanza chiaro fin dall’inizio che in nessuna delle due occasioni si assisterà alla dipartita di uno dei personaggi principali sotto attacco.
Ad aprire le danze è, appunto, la visita “di cortesia” di Luca Changretta a Michael, evento che vuole innanzitutto sottolineare la capacità del boss mafioso di essere sempre un passo davanti a Tommy Shelby e che quindi, di conseguenza, solleva un importante interrogativo: perché accettare l’offerta di Polly se Luca Changretta sarebbe comunque in grado di ottenere la sua vendetta senza la benché minima difficoltà? La risposta naturalmente risiede nella necessità di regalare allo spettatore un intreccio ricco di suspense e azione, necessità a cui non sarebbe stato possibile provvedere se a quest’ora Changretta avesse deciso di preferire il piombo alle parole in ogni faccia a faccia avuto con un membro della famiglia Shelby. In altre parole, esigenze televisive – aggiungeremmo sacrosante visto l’altissimo grado di polarizzazione spettatoriale che lo show riesce a generare – ma esigenze che nonostante tutto non sfociano mai nel costruito, nell’artificioso, nel deus ex machina narrativo. A maggior ragione non sapendo ancora nulla in merito alle reali intenzioni di Polly e Changretta. Magari ci si trova di fronte ad un clamoroso bluff da parte della matriarca degli Shelby, o ancora potrebbe trattarsi di una complessa macchinazione per far soffrire sadicamente Tommy rivelandogli del tradimento della propria famiglia prima di sparargli in fronte; al momento non è dato sapere, ma l’unica cosa che si può affermare con certezza è che nell’insieme la storia funziona, coinvolge, porta lo spettatore a schierarsi. Tre caratteristiche non facili da trovare e soprattutto conservare così a lungo in uno show televisivo.
La sequenza finale conclude, quindi, questa fase interlocutoria durata due episodi – idealmente si potrebbe suddividere questa stagione in tre blocchi da due episodi ciascuno, corrispondenti ad una prima fase squisitamente action, utile allo spettatore per calarsi nuovamente all’interno della storia, una seconda fase, quella appena conclusa, prettamente interlocutoria e, presumibilmente, ora che tutte le carte sono in tavola, una fase conclusiva composta dagli ultimi due appuntamenti stagionali durante i quali tutte le storyline convergeranno in un’unica direzione – e proietta lo spettatore in quello che si preannuncia essere un finale di stagione colmo di lacrime e violenza, in pieno stile Peaky Blinders, durante il quale finalmente si avrà modo di trovare una risposta agli innumerevoli interrogativi irrisolti.
“I know. The bad I can’t help. I wanted you to stay. Normally, I get me own way. Losing, occasionally, makes me worse.”
Tra le innumerevoli personalità che popolano l’universo narrativo di Peaky Blinders a spiccare è sempre e comunque la figura di Thomas Shelby. Ciò non è dovuto unicamente al suo ruolo di protagonista, bensì al percorso di crescita che gli autori gli hanno riservato in questi quattro anni di programmazione. Un percorso di crescita e tribolazione, culminato nell’attuale situazione di conflitto interiore tra la figura di uomo d’affari cinico e risoluto e quella di criminale violento e spietato, personalità tra loro differenti ma non inconciliabili e, ironia o semplice constatazione del vero, ammantate dietro la stessa apparenza di uomo per bene, sempre curato e ben vestito, a riprova del fatto che non sono il bel completo o il costoso cappotto a definire la solidità morale di un individuo.
Thomas sa bene ciò che è, non lo ha mai negato, né tanto meno rinnegato. Lui conosce bene le sue radici e ancor meglio ha totale coscienza dell’uomo che è diventato. Eppure, le persone attorno a lui, in particolar modo le donne che lo circondano, sembrano non saperlo, o meglio sembra che non vogliano accettarlo. Ciò che colpisce di più nel dialogo con May Carleton all’interno della distilleria di gin, non è tanto questa consapevolezza, quanto invece la cinica ma oltremodo esaustiva analisi del pensiero comune circa la visione di ciò che è buono e ciò che invece non lo è; di chi è meritevole di essere definito un “buon uomo”, perché di successo, ben vestito e bravo a nascondere la polvere sotto al tappeto là dove l’opinione pubblica non può arrivare per sviluppare un giudizio di valore veritiero, e chi invece è solo un criminale, senza possibilità di fuga dalla piaga del giudizio generalizzato, grazie alla quale, ogni giorno, veri e propri criminali in cravatta finiscono con l’essere elevati ad eroi positivi, forti di un’apparenza in grado di cancellare ogni bassezza ma colpevoli tanto quanto colui che materialmente ha messo il dito sul grilletto.
“If only you could change? Go on say it. If only you could change the bad. And the “good” is laying off 1.000 men, which I do, like a good business man. And I do it like that. And people go hungry. And the bad… The bad’s a fucking win on the horses and a gun and some fucking self-respect. You fucking people…“
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Blackbird 4×03 | ND milioni – ND rating |
Dangerous 4×04 | ND milioni – ND rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.