Private Practice 6×09 – I’m FineTEMPO DI LETTURA 5 min

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Scrivo questa recensione di getto, pochi secondi dopo aver visto la puntata. Le sensazioni che ancora mi formicolano nello stomaco, e la consapevolezza che questa volta Shonda Rhimes si sia superata. Avrei voluto aspettare prima di assegnare 5 emmy su 5 ad un episodio della sesta stagione di Private Practice, quasi a voler attendere il season finale, che sancirà la fine di tutto. Ma questa puntata è talmente perfetta che non dare il massimo dei voti sarebbe stato un insulto alla mia intelligenza e alla bravura di Shonda, degli sceneggiatori e di Brian Benben. In questa puntata non vedremo sorrisi ed ironici battibecchi, non sentiremo sonore risate o gemiti di piacere. Niente di tutto ciò. In questa puntata ci sono scene dure come pugni nello stomaco. Momenti che mi hanno quasi portata sull’orlo della lacrime, tanta era la tensione e la capacità di rendere tutto così maledettamente reale.
La puntata è incentrata su Sheldon e già per questo partiva avvantaggiata. Ho sempre adorato Sheldon, che trovo uno dei personaggi più riusciti in Private Practice, per il suo acume ed il suo malcelato sarcasmo sempre puntuale, e per questo si sarebbe meritato molto più spazio. Tanto di cappello, come ho già detto poco fa, all’attore Brian Benben per essere riuscito non solo a sdoppiarsi, ma addirittura a triplicarsi, mantenendo sempre il personaggio credibile. Mi spiego meglio: in questo episodio io ho visto tre Sheldon diversi. Lo Sheldon paziente, lo Sheldon psichiatra, e lo Sheldon uomo.
Lo Sheldon paziente si reca alle sessioni di radioterapia per sconfiggere un cancro alla prostata, per fortuna non ancora in metastasi. E qui affronta le sue paure. Da notare come le scene dentro alla stanza delle terapie abbiano un sottofondo musicale diverso, con note lente ma incessanti, e come tutto sia pesante e claustrofobico, dai macchinari che girano quasi come fossero parte di una navicella spaziale (non so perché, ma ho subito pensato a 2001: Odissea nello spazio), le luci verdi, fino alla voce meccanica del medico che ripete perentorio: “Stay still”. Rimani fermo, mentre bombardiamo il tuo corpo con radiazioni, per vedere se ti salverai o meno. Questo sembra pensare Sheldon.
Lo Sheldon psichiatra continua a seguire Nick, il “pedofilo” di qualche puntata fa, che ora sembra essersi ripreso, tanto da confessare al medico di essere romanticamente attratto da una ragazza di nome Alissa e di essere riuscito a controllare i suoi istinti sessuali verso i bambini. Faccio i miei complimenti all’attore che interpreta Nick, per aver dipinto perfettamente un uomo ormai perso, svuotato, un mostro che non sa di esserlo o non vuole ammetterlo. Ed è qui che subentra la parte umana di Sheldon, in prepotente contrasto con i suoi doveri e principi di medico. Sheldon è sempre più convinto che sia Nick ad aver rapito Sarah (la bambina scomparsa) e che Alissa altro non sia che una trasposizione. In poche parole, una menzogna costruita dall’uomo per autoconvincersi di essere guarito. Questi suoi sospetti crescono sempre di più, fino ad esplodere in un denigratorio monologo contro i pedofili che non si meriterebbero altro che la galera a vita. Nessun aiuto per loro, nessuna comprensione, nemmeno da un medico che ha giurato di aiutare e sostenere, indipendentemente da tutto. Eppure era stato proprio lui a difendere i pedofili, come pazienti malati e degni di essere aiutati. Sheldon prova a parlarne con il suo psichiatra (d’altronde ce l’aveva già svelato Stanford Blatch in Sex and the city, e lo ripeterà anche Miranda, la donna che Sheldon conosce durante la terapia: “anche gli psichiatri hanno uno psichiatra”), alla quale confida anche i suoi sentimenti per Miranda, malata terminale di cancro al seno, che però non vuole approfondire il loro rapporto per non obbligarlo a legarsi a qualcuno che sicuramente morirà. La paura della malattia, l’incubo verdognolo della stanza dei macchinari, la delusione per l’abbandono della moglie che non ha voluto stargli vicino in un momento come questo, spingono Sheldon in un vortice discendente, dove il sospetto diventa prima paranoia, e poi ossessione, fino a sfociare nell’aggressività contro il suo stesso paziente. Convinto di aver ragione, Sheldon fa mettere Nick sotto sorveglianza e si reca dal suo amico detective che stava seguendo il caso di Sarah. Qui romperà il giuramento di Ippocrate ed il segreto professionale e mentirà al detective, dicendo che Nick ha confessato di aver rapito Sarah. Una squadra di poliziotti si reca presso l’abitazione dell’uomo e non trova nessuna bambina nelle stanze della casa. Sheldon sbianca. Come a rendersi conto della conseguenza del suo precario stato d’animo. Ma ecco che viene scoperto un seminterrato, dove, dietro una porta, si cela una stanzetta per bambini e sotto il letto viene trovata la piccola Sarah.
Il fatto di aver sempre avuto ragione non soddisfa Sheldon, ma ha comunque un effetto calmante su di lui, allontanando le sue paure. Capisce che non deve permettere ad un paio di cellule malate, o al rancore e delusione del fallimento di un matrimonio, di rovinargli anche il presente. “I’m fine”. Sì, sto bene. Con una nuova fiducia in se stesso e nella vita, Sheldon bacia spontaneamente Miranda e le dice che le starà accanto nonostante la malattia, perché è solo l’amore che conta, in fondo.
PRO:

  • La bravura del cast (sia regular che guest stars) e degli sceneggiatori
  • I tre lati di Sheldon
  • La tensione e la realtà che irrompe come un camion in contromano
  • Le paure sconfitte con il più semplice dei rimedi
CONTRO:

  • Assolutamente nulla
Mancano solo quattro episodi alla fine di questa serie e vorrei davvero che Shonda si mantenesse su questa linea, che donasse un bel finale a tutte le storyline di ciascun personaggio, senza però scadere nella scontatezza, ma sempre regalandoci episodi degni del cognome “Rhimes”.

VOTO EMMY

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Se volete entrare nelle sue grazie, non dovete offendere: Buffy The Vampire Slayer, Harry Potter, la Juventus. In alternativa, offritele un Long Island. La prima Milf di Recenserie, ma guai a chiamarla mammina pancina.

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