American Horror Story: Delicate 12×04 – Vanishing TwinTEMPO DI LETTURA 5 min

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Recensione American Horror Story 12x04Il panorama televisivo, in particolar modo nell’ultima decade, ha attraversato un’evoluzione tumultuosa. Mentre alcune serie si sono fatte strada come veri e propri fenomeni culturali, diventando imprescindibili nell’immaginario collettivo, altre sono rapidamente svanite nell’oblio, vittime di un’evidente saturazione mediatica o semplicemente di proposte meno convincenti.
Nel mezzo di questa incessante marea di contenuti, American Horror Story si è sempre distinta come una costante, riuscendo ad attirare e mantenere l’attenzione del pubblico grazie alla sua peculiare natura antologica e alla sua innegabile capacità di reinventarsi stagione dopo stagione. Ogni stagione ha promesso nuovi scenari, nuovi personaggi e, cosa più importante, nuove tensioni horror; eppure, una recidiva incoerenza narrativa e conclusioni affrettate hanno spesso minato il potenziale di stagioni altrimenti promettenti sulla carta, lasciando il pubblico – e soprattutto il recensore – sistematicamente insoddisfatto e con l’amaro in bocca dopo aver gettato al vento altre ore della sua vita inutilmente. Se in passato la serie ha potuto contare su inizi promettenti, pur con finali meno riusciti, AHS: Delicate decide invece di far schifo fin da subito, anticipando i tempi e deludendo il suo pubblico in partenza. Per non sbagliarsi.
E questo episodio, piuttosto che essere un auspicio di novità dopo tre puntate oggettivamente noiose, sembra voler invece segnalare l’inesorabile declino della serie, alimentando il crescente scetticismo tra gli spettatori di lunga data. E se American Horror Story inizia già in tono minore, cosa ci si potrà mai aspettare dalla sua conclusione? Una domanda che, purtroppo, sembra destinata a ricevere la medesima risposta che giunge inesorabile al termine di ogni stagione della serie: una pioggia di materia fecale.

REGINE, PROCIONI MORTI E DEFECAZIONE


Nell’ambito della narrazione horror, la promessa fondamentale è quella di offrire un’esperienza in cui i confini tra il reale e l’irrazionale diventano permeabili, in cui le paure profonde e primordiali dell’essere umano emergono in tutta la loro potenza. Questo equilibrio tra ciò che è conosciuto e ciò che è insondabile è essenziale per creare una vera atmosfera di terrore. In questa cornice, “Vanishing Twin” doveva collocarsi come un nuovo capitolo in grado di sondare le profondità dell’incubo. Ma ciò che emerge è una rappresentazione che, anziché esplorare nuove frontiere dell’horror, finisce per annaspare in acque già esplorate e ben note al pubblico.
Il panorama del cinema horror ha fornito, nel corso degli anni, un vasto repertorio di storie che hanno esplorato la gravidanza come fonte di terrore e ansia, spesso mescolando questi temi con l’occulto e il soprannaturale. Con “Vanishing Twin”, ci si potrebbe aspettare un’interpretazione innovativa, una rilettura contemporanea di questi temi in chiave moderna. E, in effetti, la premessa iniziale sembra suggerire proprio questo, giocando con l’aspettativa dello spettatore e promettendo un viaggio attraverso i meandri oscuri di una gravidanza demoniaca. Tuttavia, al di là delle aspettative iniziali, quello che emerge è un racconto che si avvicina troppo ai confini dei classici come “Rosemary’s Baby” o “The Witch”, senza mai osare oltrepassarli. L’ombra di questi titoli sembra aleggiare costantemente sull’episodio, privandolo della possibilità di esprimere una voce autentica e distintiva.
Ancora più problematico è il modo in cui viene sviluppata e presentata questa storia. L’approccio narrativo sembra frenetico e disordinato, come se il desiderio di raccontare troppo in poco tempo avesse compromesso la coerenza dell’intera trama. Questo approccio frammentario finisce così per rendere alcuni momenti cruciali dell’episodio superficiali e privi del peso emotivo necessario.
Il dialogo, che in qualsiasi opera dovrebbe agire come un filo conduttore, connettendo profondamente lo spettatore al cuore dell’azione e ai personaggi, appare spesso artificioso. Le parole pronunciate dai personaggi mancano di quel naturale flusso che consente all’audience di immergersi pienamente nella storia. L’intento di sviscerare le intricate dinamiche di un patto demoniaco, che intreccia gravidanza e successo professionale, benché affascinante nella sua essenza, viene offuscato da una narrazione che sembra oscillare tra il disorientato e l’incompleto. La trama offre un buon potenziale, ma ogni opportunità di sfruttare tale potenziale sembra essere stata trascurata o semplicemente non realizzata nella sua interezza.

AMERICAN BORING STORY


Nell’universo di American Horror Story, la profondità e il carisma dei personaggi hanno costantemente rappresentato uno dei pilastri fondamentali che ne hanno garantito l’acclamato successo. Tuttavia, con l’arrivo di Anna e Dex (Emma Roberts e Matt Czuchry), emerge una preoccupante deviazione da questa consolidata tradizione, non tanto per una mancanza da parte degli interpreti, ma per una scrittura dei personaggi che sembra vacillare in più di un’occasione.
I dialoghi, che idealmente dovrebbero agire come finestre sull’anima, rivelando le complessità interne e gli slanci dei protagonisti, appaiono come sempre semplici e riduttivi, spesso confinanti con l’artificiale. L’intricata trama dell’episodio avrebbe dovuto permettere agli attori di esplorare profondamente le loro rispettive psiche, eppure si assiste a una rappresentazione sommaria e, in alcuni momenti, piuttosto apatica della loro relazione.
L’assenza di chimica tra i due attori, oltre che privare lo spettatore di una genuina empatia nei confronti dei loro personaggi, sembra riflettere una struttura narrativa che non riesce a fornire un substrato autentico e degno delle potenzialità dei suoi interpreti. L’interazione tra i due, invece di evocare un’atmosfera densa di emozioni e tensioni palpabili, evidenzia una mancanza di genuinità e un distacco inatteso, portando alla luce una scrittura che non valorizza pienamente la profondità dei personaggi, relegandoli così a semplici archetipi superficiali.
Anche le Ashleys (due volti noti ai fan di lunga data, Billie Lourd e Leslie Grossman), nonostante abbiano il potenziale per essere potenti antagonisti o complici nel mondo oscuro delle PR, sono presentate in modo troppo caricaturale. La loro rappresentazione avrebbe potuto servire come una satira penetrante sull’industria dell’intrattenimento e sulla manipolazione mediatica, ma invece il loro ruolo appare ridotto a momenti di leggerezza quasi comica che non si sposano con il tono generale dell’episodio.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Il sottotesto culturale e quantomeno l’intenzione di legare la trama horror alle questioni attuali…
  • …anche se poi la riuscita appare piuttosto didascalica
  • Personaggi piatti e dialoghi artificiosi
  • Chimica assente tra Emma Roberts e Matt Czuchry
  • La fretta percepibile finisce col trattare superficialmente personaggi interessanti
  • Una stagione che sembra la versione cheap di altri classici del cinema horror

Il potenziale per un buon racconto horror c’era tutto, ma “Vanishing Twin” non riesce a materializzarlo, lasciando il pubblico desideroso di una profondità e di una coerenza narrativa che, in questo episodio, e in generale in questa stagione, mancano completamente.

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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