Feud: Capote Vs. The Swans – 2×06 Hats, Gloves and Effete HomosexualsTEMPO DI LETTURA 3 min

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Feud Capote vs The Swans 2x06 recensioneTre episodi alla fine della seconda, anomala, stagione di Feud: Capote Vs. The Swans ad opera della coppia Baitz/Van Sant.
Un prodotto che si sta sempre più rivelando con velleità autoriali, immerso nella patina inconfondibile delle produzioni del Murphy-verse.

I’VE GONE OUT OF STYLE


Truman Capote è il ritratto della decadenza. La sua vita lo è stata, soprattutto nella lunga discesa negli inferi dell’anonimato in cui è sprofondato “soltanto” per aver detto la verità sull’alta società newyorkese.
Nel 1978, i segnali che la sua fama, e soprattutto la sua importanza, cominciano a passare di moda si fanno sempre più palesi. Chiudono negozi importanti e le nuove donne che si sceglie di far “debuttare” in società sono solo mere imitazioni rispetto alle figure di quel passato mitico di cui è stato protagonista, manipolatore e narratore.
La versione sbiadita di Babe, Kate Harrington, figlia del suo ex-amante dalle mani pesanti John O’Shea (interpretata da Ella Beatty, figlia di Warren Beatty e Annette Bening), è una delusione per Truman proprio perché non rispecchia quello che si aspetta di trovare, cioè la riproposizione di un passato che non sarà più presente.

AMICI O NEMICI


A conclusione dell’episodio, arriva la riflessione sullo stato delle cose nella storia che si sta raccontando. La presa di consapevolezza di Truman, a seguito del sentirsi usato dal suo nuovo toyboy come mero strumento di piacere durante una pausa pubblicitaria, esplode in una maniera sorprendentemente serena.
Nonostante sappia come quel mondo sia spietato, fatto di ripicche e lotte di potere, quello che manca di più a Truman è quell’amicizia e vicinanza che ora sente di non avere. Amicizie ipocrite e opportunistiche ma che, a differenza della sua vita attuale, erano importanti, testimoniando quanto quell’umanità tanto messa alla berlina sia molto simile alla sua. È l’unico mondo (e modo) che conosce e nel quale sa muoversi. Vederlo cadere nel dimenticatoio non fa che aumentare il suo senso di perdita, mai colmato fin dall’infanzia difficile, con figure genitoriali assenti. Un background che può spiegare in parte certe cose, ma lascia anche trasparire una condizione di disagio ancora più profonda.

LA STORIA DOV’È?


Il continuo andare avanti e indietro nel tempo della narrazione mette in secondo piano la trama in favore di un focus maggiore su episodi fondamentali della caduta dello scrittore. A volte questo artificio può sembrare pretestuoso, pieno di vizzi per sbizzarrirsi nel racconto d’epoca. In altre, come in questo episodio, permette di leggere il racconto da prospettive sempre diverse perché questa storia, più di altre, nasconde tante chiavi di lettura e riflessioni. Tra queste spiccano sicuramente analisi sul tempo che passa, sul senso di appartenenza, sul bisogno di affermare sé stessi, tutto ciò che rende un uomo un’anima egoista e allo stesso tempo sociale.
La cronaca che Truman vuole riversare nei suoi scritti non è altro che la volontà di raccontare la verità sulla società, mossa da sentimenti contrastanti, quasi fossero dei demoni che infestano la psiche di chiunque, senza tregua, coi quali difficilmente si riesce a scendere a patti.
Tom Hollander offre una splendida interpretazione, andando oltre al semplice caratterista di mestiere. Il resto del cast, di ottimo livello, sconta il fatto di essere troppo poco sfruttato in questa storia. Su questo magari si poteva fare di più, ma ci si accontenta.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Tom Hollander
  • Capote che non usa mai mezzi termini. Ovunque, su qualunque cosa
  • Arrivare a provare empatia per lo snobismo ce ne vuole. E invece, quasi quasi…
  • I cigni un po’ sottotono, nonostante un cast femminile praticamente stellare
  • Per chi ama la trama, qui non è pervenuta

 

Un episodio dove non succede molto, ma che si fa seguire appassionatamente. Un racconto che chiede tanto allo spettatore che non vuole lasciarsi perdere nel malessere esistenziale che Capote porta con sé.

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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.

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