Presumed Innocent 1×08 – The VerdictTEMPO DI LETTURA 4 min

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L’idea paventata nella prima recensione di questo show sembra essersi parzialmente realizzata: Presumed Innocent si è trasformata in una serie regular, rinnovata per una seconda stagione il 12 giugno. David E. Kelley, J.J. Abrams e Jake Gyllenhaal torneranno come produttori esecutivi insieme al supporto di Scott Turow, autore dei romanzi da cui lo show prende spunto per l’adattamento.
Una scelta a tratti obbligata sia dalla carenza di prodotti drama che attirano l’attenzione nel pacchetto Apple TV+, sia dai picchi di pubblico che Presumed Innocent sembra aver raccolto in queste settimane di messa in onda.
La qualità del generale giustifica, tuttavia, questa scelta del colosso streaming? Parzialmente: Presumed Innocent è un prodotto solido dal punto di vista stilistico, ma ha alcune debolezze dal punto di vista della scrittura, oltre alla costruzione di alcuni personaggi che non riesce a convincere totalmente.

RICERCA DEL COLPEVOLE INTERROTTA PER DISINTERESSE


Si percepisce l’intenzione, da parte di David E. Kelley, di insinuare più di qualche dubbio nel pubblico attorno non solo al personaggio interpretato da Gyllenhaal (Rusty), ma anche a quello di Sarsgaard (Tommy Molto), all’ex marito di Carolyn e al figlio della donna stessa. Lo show cerca di ricreare una fitta nebbia di dubbi attorno a chiunque possa aver avuto a che fare con l’ex collega di Rusty.
Eppure, in questo caso ormai diventato mediatico, non si giunge pubblicamente a nessun tipo di risoluzione. Rusty viene assolto dalle accuse e tutto termina lì, come successivamente spiega lui stesso ai figli: non ci saranno ulteriori processi e/o riesami del caso. Carolyn Polhemus è morta, ma questa cosa sembra passare in secondo piano nel disinteresse generale delle stesse persone (i media in primis) che prima cercavano qualcuno da indicare come colpevole. Nulla di nuovo rispetto alla realtà, ma forse un po’ sufficiente come coda conclusiva del caso giudiziario.

IL COLPO DI SCENA CHE (NON) TI ASPETTI


Dopo metà puntata, quindi, Rusty viene assolto e tutto si conclude lì. O quasi: la puntata conta più di 60 minuti, quindi c’è ancora una mezz’ora da riempire. Ma come?
Alcuni sono devoluti alle consuete scene di chiusura: Tommy, Raymond, Nico e Rusty a confronto con il giudice post sentenza; Rusty e la sua famiglia; Tommy e Nico che sembrano scontrarsi in modo fin troppo superficiale nonostante la clamorosa sconfitta; Barbara-Rusty e Raymond-Lorraine in scene di coppia varie. Sempre troppo poco.
Ma, esattamente come fatto per il film del 1990 con Harrison Ford, anche qui si arriva al cospetto del plot twist narrativo per riscrivere quanto visto in precedenza. Anzi, per l’esattezza plot twist e contro plot twist. Avviene tutto negli ultimi otto concitati minuti.
Rusty, parlando con la moglie, mostra di essere effettivamente tornato nell’appartamento e anzi di aver addirittura legato Carolyn per emulare il serial killer arrestato in passato, mischiando le carte del caso.
Barbara, confusa da quanto viene detto, sembra essere estranea a tutti e lì sembra paventarsi l’ipotesi di “distacco dalla realtà”, bipolarismo e raptus con amnesia. Scelte narrative che sarebbero risultate interessanti.
Ma David E. Kelley ribalta nuovamente la situazione, allontana l’omicidio dalla pura e semplice vendetta rendendolo un omicidio per riportare la pace all’interno di una famiglia, eliminandone la minaccia primaria: Jaden rivela ai genitori di aver guidato fino a casa di Carolyn, di aver ucciso la donna e di aver vissuto il ritorno a casa quasi si trattasse di un sogno. Come se nulla di quanto fatto fosse realmente accaduto.
Plot twist convincente, evocativo con i flashback di accompagnamento e che non inficia la scrittura prettamente correlata al caso giudiziario. Alcuni dettagli potevano essere meglio elaborati: l’interesse di Tommy Molto, la contrapposizione Nico-Tommy e Raymond-Rusty; la diatriba interiore di Barbara e il suo flirt mancato. Inezie, nel computo totale, ma che indeboliscono la valutazione generale dello show.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • L’arringa di difesa e accusa: Sarsgaard e Gyllenhaal mostrano due ottime interpretazioni. Un quarto d’ora circa di ottima televisione
  • Gli intensissimi otto minuti finali in cui le rivelazioni si fanno via via sempre più distorte
  • La chiusura dello show, quasi con una vena di nichilismo con una società che prosegue la propria corsa nell’indifferenza generale
  • Una seconda stagione potrebbe funzionare
  • Piccoli dettagli, ma lo show fa il suo dovere senza faticare nemmeno troppo e rendendo la visione mai pesante nonostante il minutaggio a volte sia generoso

 

Presumed Innocent è la rappresentazione seriale del celebre “è bravo ma non si applica”: ottimo cast, interessante caso crime sullo sfondo, bel finale di show. Eppure, in mezzo, molti punti deboli disseminati quasi equamente all’interno delle varie puntate, come se l’intenzione di rendere tutto lineare (anche per la valutazione) fosse voluta. Non c’è una puntata che spunta più delle altre, ma lo show resta di indubbio intrattenimento. Forse i picchi di The Undoing risaltano maggiormente, ma Presumed Innocent sembra essere più costante e completa.
Probabilmente si tratta di una questione di gusti, ma una visione a questo show di otto puntate la si può concedere senza troppi problemi, anche perché la seconda stagione sarà probabilmente distaccata come personaggi (salvo qualche legame) e storia. Quindi tanto vale darle un’opportunità.

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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.

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