Spy City era cominciata piuttosto bene tra un pilot introduttivo ed una 1×02 molto più sul pezzo, il che aveva fatto presagire un aumento della tensione, dei complotti e della qualità. Ecco, il presagio a volte non si materializza come dovrebbe ed è sfortunatamente questo il caso visto che “The Flower Market” segna ufficialmente la prima insufficienza per lo show. Un’insufficienza non grave ma pur sempre una macchia sul curriculum.
William Boyd, showrunner e sceneggiatore, sembra alternare (non volutamente) puntate con uno scheletro narrativo piuttosto chiaro, ad altre che sembrano semplicemente dei riempitivi in attesa che qualcosa si sblocchi a livello di trama. E ovviamente questa quarta puntata fa parte di quest’ultima categoria di episodi.
BEIRUT O NON BEIRUT: QUESTO È IL DILEMMA
“We’re meeting someone who may know something about Haldane and his connections in Beirut.“
Si prenda la frase sopracitata per esaminarla e, nello specifico, l’ultima parola: Beirut. Andando a fare una ricerca nei primi tre episodi, Beirut viene citata molto velocemente solo due volte in “Out Of The Past” per poi non essere più minimamente nominata in “My Enemy’s Enemy“. E questa è una fonte di interrogativi perché innanzitutto non si è ancora capito se Boyd intenda la città in sé oppure sia uno dei tanti nomi in codice tra spie, poi non è molto chiaro il perché venga citata un po’ a caso senza una spiegazione o un po’ di background.
La sensazione è che Boyd abbia bisogno di elementi per creare un po’ di background in certi personaggi e nelle loro storyline, elementi che poi non verranno elaborati in alcun modo in futuro e, pertanto, possono essere usati per “rimbombare” nel contesto berlinese con nomi poco europei e tanta fantasia alle spalle. In una serie in cui, alla quarta puntata, si fa ancora fatica a ricordarsi i nomi dei protagonisti (eccetto Fielding Scott), la scelta di tirare fuori dal cilindro altri elementi da spy story non aiuta moltissimo a due episodi dal series finale.
NESSUNO HA PAURA DEI FRANCESI
Tralasciando l’excursus su Beirut, “The Flower Market” enfatizza i problemi di Spy City in maniera piuttosto chiara: da un lato la trama sembra essere ancora poco chiara, dall’altro le intenzioni dei vari character sono piuttosto lapalissiane. Nella Berlino divisa tra est ed ovest con i vari settori americani, inglesi e francesi, nonostante un’apparente coalizione occidentale, emerge sempre di più il generale egocentrismo dei vari servizi segreti che non lavorano molto tra di loro ma, anzi, sembrano avere diversi segreti.
Nello specifico, i francesi giocano un ruolo cinematografico (come sempre) poco trasparente e, stando a come Boyd li tratteggia nella sua serie, appaiono anche come non riconosciuti nella loro pericolosità tanto da non venire nemmeno controllati come nel settore americano e inglese (“They were watching the crossings, only the French zone was safe.“). Severine Bloch è fondamentalmente l’anello di collegamento tra tutte le diverse trame ma è un anello non molto affidabile, constatando che, di fatto, agisce solamente perché in cerca di vendetta per il compagno morto.
La sensazione di essere davanti finalmente ad una svolta consistente nella trama arriva proprio grazie a lei e al suo desiderio di collaborare con Fielding Scott, chiaro segnale di un cambio di ritmo che arriva non a caso proprio a due puntate dal termine. Peccato che tutta la prima parte dell’episodio sia piuttosto noiosa e fine a sé stessa.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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“The Flower Market” è il punto più basso di Spy City finora nonostante una seconda parte più interessante ma che, comunque, non è in grado di compensare la noia generata dalla prima.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.