Dopo cinque episodi confusionari, il sesto capitolo di The Crowded Room fa un passo indietro e chiarisce, finalmente, l’intreccio della storia.
Rya Goodwin è una ricercatrice universitaria in attesa della svolta di carriera e di una cattedra che non sembra arrivare così celermente. E, tra una vita privata impegnativa e una lavorativa che stenta a decollare, ecco che il caso Danny Sullivan casca a pennello.
Percorrendo la narrazione a ritroso viene finalmente spiegato come tutto è iniziato: dall’arrivo di Danny alla centrale di polizia, fino ai colloqui con Rya che riesce, già da subito in effetti, a intuire lo sdoppiamento di personalità di Sullivan e a far uscire fuori Jack, l’indisturbato inquilino che abita la mente di Danny.
POINTS OF VIEW
I primi cinque capitoli hanno narrato la storia dal punto di vista del suo protagonista, Danny Sullivan. Solo qualche attimo era lasciato agli occhi della dott.ssa Goodwin che riportava il gioco sul terreno della realtà. Giunti al sesto episodio, finalmente, viene svelata la realtà dei fatti e il point of view, finalmente, cambia radicalmente.
Danny non è più il ragazzo che si è mostrato nel corso della stagione e per la prima volta lo spettatore riconosce una persona disturbata, piena di contraddizioni e senza alcuna consapevolezza di quello che sta accadendo.
UNA STANZA PIENA DI GENTE: JACK
La rivelazione più importante dell’episodio è la prima personalità di Danny che fa capolino di fronte alla dottoressa Rya: Jack. Seppur brevemente, Jack conferma quello che era chiaro negli episodi precedenti e cioè che la realtà di Danny è sconnessa, alternativa… immaginaria.
L’intrusione all’interno della mente di Danny è breve e le scene che vedono Jack interloquire con Rya sono troppo poche per quella che si rivela essere la prima vera svolta di trama della serie. Ovvio come lo show tenga ben strette le proprie carte e non voglia concedere più del dovuto, costringendo lo spettatore ad attendere con ansia l’episodio successivo. Tuttavia, questa non sembra una mossa vincente, tenuto conto che i primi cinque episodi hanno davvero perso troppo tempo in lungaggini che hanno solo accumulato confusione.
FUORI DALLA STAZA: RYA
L’episodio gira attorno alla co-protagonista della serie, svelando un po’ quella che è la sua vita familiare, professionale, personale. Se da un lato l’approfondimento sulla dott.ssa Rya arriva troppo tardi, dall’altro lato sembra impeccabile la narrazione che, se nello scorso episodio si era concentrata sull’infanzia di Danny, con il sesto si avvicina, finalmente, al presente.
L’entrata in campo del personaggio di Amanda Seyfried è la carta vincente per svegliare gli animi assonnati di fronte lo schermo televisivo. Tuttavia, l’aspetto più intimo della vita di Rya viene travolto dall’entrata in scena di Jack. La circostanza ruba la scena ad Amanda Seyfried che riesce comunque a lasciare l’impronta, tirando fuori un personaggio strutturato e credibile.
Quello che non funziona è la struttura di ogni episodio, che sembra sempre concentrarsi sui punti meno importanti. Rya Goodwin, nonostante la professionalità e l’esperienza clinica, esce distrutta dal colloquio con Danny, a prova del fatto che è davvero difficile non rimanere turbati dalla storia del protagonista. Eppure lo stesso effetto non è suscitato nello spettatore che non percepisce il medesimo impatto emotivo nonostante la delicatezza dei temi trattati. Tom Holland e Amanda Seyfried sono davvero impeccabili e ai loro personaggi nulla può essere recriminato. Ma qualcosa in questi sei episodi sembra non aver funzionato. Cosa?
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Troppo poco spazio alla rivelazione più importante della serie che, infatti, non si rivela di grande impatto emotivo, nonostante la delicatezza dei tremi trattati. Sufficienza.
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Lunatica, brutta, cinefila e mancina. Tutte le serie tv sono uguali, ma alcune sono più uguali delle altre.