“Alan Learns To Meditate” ha esattamente lo stesso team creativo del pilot alle spalle: Joel Fields & Joe Weisberg alla sceneggiatura (e questo non cambierà nemmeno nei prossimi 8 episodi), Chris Long alla regia (passerà poi il testimone a Kevin Bray nella 1×03 e poi quest’ultimo lascerà spazio a Gwyneth Horder-Payton nella 1×06).
L’importanza di avere la coppia di creatori al timone di tutti gli episodi è ancora più rilevante del solito per una serie come The Patient, questo perché sembra essere molto simile ad un film di 3 ore e mezza suddiviso in 10 spezzoni diversi. E la dicotomia delle puntate è fondamentale perché sarebbe ben diverso se fosse scritta da altre mani rispetto alle 4 che l’hanno partorita. In tal senso, questo secondo episodio funge da ottimo seguito di “Intake” e non è un caso se FX on Hulu ha scelto di rilasciare entrambi allo stesso momento, anche per merito di quel cliffhanger finale che crea una giusta salivazione nello spettatore.
Sam: “I need to get better. Isn’t that what you enjoy doing? Isn’t healing people? I brought you here so we can work together, I know you hate it but if you are not gonna be part of the process, where is that gonna leave us?“
L’IMPORTANZA DELLA MAIEUTICA
Dal punto di vista meramente oggettivo, il ragionamento di Sam non fa una piega: se il suo psichiatra preferito non lo aiuta a far parte del processo curativo, allora a cosa serve e, soprattutto, che conseguenze provoca la sua mancanza di cooperazione? Spoiler: omicidio.
Le domande a cui questa puntata dà una risposta sono molto lecite e sono talmente naturali da non sorprendere. La sceneggiatura è molto lineare e prende per mano lo spettatore in un processo di accettazione del character interpretato da Steve Carrell, un’accettazione obbligata ma che ha anche un suo senso logico vista la mancanza di alternative a riguardo.
L’unico modo per risolvere questo nuovo status quo è la cura di Sam, una cura che passa per il dialogo, per lo svisceramento del problema e per la gestione quotidiana dello stesso. Ed il tutto passa per l’accettazione di uno stato mentale, l’accettazione di uno stato fisico e l’accettazione che il cambiamento è possibile. Un qualcosa che in questo caso vale per entrambi.
Alan: “Hello? Can you hear me up there? I can hear you. Are you ok? Can you talk? Hello.”
L’IMPORTANZA DEI 20 MINUTI
Nei 20 minuti della puntata, tutto fila estremamente bene: non ci sono tempi morti, il ritmo è piuttosto piacevole, ci sono anche un paio di flashback che aiutano a capire un po’ di più il punto di vista di Alan e la solitudine dovuta alla morte della moglie. Niente è aggiunto a caso ma sono tanti piccoli mattoni che si vanno ad aggiungere alla costruzione dei due character che, di fatto, stanno conoscendosi ora dopo diversi mesi di terapia e lo stesso vale per lo spettatore.
Si potrebbe imputare a The Patient la scelta un po’ di comodo di fare 10 episodi da 20 minuti piuttosto che 5-6 da 40 ma, probabilmente, l’effetto della visione sarebbe molto più attenuato nel pubblico, mancherebbe quella voglia di guardare l’episodio successivo (che si prova ora) e probabilmente il ritmo sarebbe molto più attenuato. Quindi ben venga questa scelta.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Detto onestamente, “Alan Learns To Meditate” è un ottimo secondo episodio che non raggiunge il Bless Them All solamente perché bloccato da alcuni costrutti prevedibili (la dinamica tra i due, l’accettazione, l’arrivo di una terza persona). Al di là di questo però è lecito aspettarsi una serie in crescendo con ottime possibilità di raggiungere il massimo dei voti.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.