A ogni azione corrisponde una reazione e ogni decisione, ogni errore, ogni scelta ha le sue conseguenze: è una basilare verità, nota a tutti, intorno a cui Star Trek: Discovery costruisce il suo penultimo episodio stagionale.
Innanzitutto ci sono le conseguenze degli eventi del mid-season finale “Into the Forest I Go”, che hanno influenzato lo sviluppo successivo delle ostilità in più modi. Non soltanto la scomparsa della USS Discovery nel mirror universe, opera di Lorca, ha privato la Flotta Stellare della sua nave di punta, ma persino la distruzione della Sarcophagus e l’uccisione di Kol, che all’epoca erano stati salutati come una grande vittoria, si sono rivelati più dannosi che utili alla causa della Federazione: privi di un capo che li unisse e che li disciplinasse, i Klingon sono tornati ad agire come singole fazioni, moltiplicando esponenzialmente il numero di fronti e lasciandosi andare ad una serie di attacchi tanto casuali quando indiscriminati, privi di un filo logico ma capaci di mettere in ginocchio la Federazione. Decisamente una bella beffa per Michael, il cui hobby di ammazzare messia e condottieri Klingon non sta affatto aiutando a concludere la guerra, anzi finisce per peggiorare le cose.
E rimanendo in tema di Michael Burnham, ci sono le conseguenze della sua decisione di portare via dal mirror universe l’imperatrice decaduta, una scelta in cui si sono intrecciate affetto, senso di colpo, ricerca di una possibilità di riscatto e, perché no, ammirazione per il coraggio mostrato. Eppure quella Philippa non è la stessa che è morta nella battaglia delle stelle binarie e, se nell’altro universo, dove gli umani primeggiavano per crudeltà e xenofobia, poteva sembrare la meno peggio, sulla Discovery basta poco per far emergere l’abissale differenza tra i suoi valori e quelli della Federazione: basti pensare alla sua reazione quando si trova di fronte Saru, che a sua volta scopre nel modo più brutale possibile qual è il triste destino della sua specie nel mirror universe. Per fortuna l’intenzione degli autori non è di tenere il personaggio relegato in una cabina in attesa che venga deciso se rispedirla o meno a casa; anzi, poter contare su un altro punto di vista rispetto a quello degli ufficiali della Flotta Stellare, su una mente totalmente estranea all’idealismo forse troppo irenico e ingenuo e agli approcci che hanno condotto la Federazione alla sconfitta, sembra l’unica possibilità per conseguire la vittoria sui Klingon.
Lo dice persino Sarek: “Each path of logic leads to the same conclusion: Starfleet tactics have failed us. We must adapt if we’re to have any hope of survival”. L’approccio inizialmente pacifico verso i Klingon è fallito miseramente alle stelle binarie; la guerra difensiva della Federazione si è risolta in una dolorosa sconfitta e nel massacro di migliaia di persone, non solo militari ma anche civili; tanto vale mettersi nelle mani di un condottiero che non è nemmeno di questo universo, impostare la rotta per il cuore dell’impero nemico e distruggere direttamente l’origine del tumore, per usare un’espressione della cara mirror Georgiou. La scelta dell’ammiraglio Cornwell di affidare il comando della Discovery alla prima venuta da un’altra realtà potrebbe sembrare quanto di più stupido si potesse fare, ma è anche l’ultima disperata mossa di chi non ha più nulla da perdere e inoltre, narrativamente parlando, apre degli interessanti scenari. Dispiace solo per il povero Saru, che perde il comando appena ottenuto con la morte di Lorca pur avendo dimostrato di possedere tutte le qualità per esercitarlo.
Ci sono, ovviamente, le conseguenze di ciò che ha compiuto Tyler negli scorsi episodi, dall’omicidio del dottor Culber al tentativo di uccidere Michael. O meglio, a commettere tali azioni efferate è stato Voq, la cui personalità dovrebbe essere stata “estirpata” da L’Rell, ma questo dettaglio non sembra un’attenuante o una giustificazione per chi, come Stamets, ha perso troppo a causa sua; né basta da solo a convincere gli altri membri dell’equipaggio a fidarsi di lui, rendendo necessario l’intervento di Tilly, il personaggio forse più “puro” della serie, per evitare l’isolamento di un poveraccio che adesso non sa nemmeno più chi o cosa è davvero.
Ma le ricadute peggiori si hanno nel rapporto con Michael, come era prevedibile, e il confronto tra i due, per quanto dia vita ad un dialogo che poteva essere scritto meglio, conduce ad una naturale e tutt’altro forzata rottura della relazione: Michael è perfettamente consapevole di quello che sta passando Tyler, eppure non può gettarsi alle spalle così rapidamente il trauma di aver scoperto che l’uomo di cui era innamorata era in realtà una coscienza ricreata artificialmente e impiantata in un corpo chirurgicamente modificato; né può accettare fino in fondo, ad un livello più inconscio, che ad attaccarla è stato Voq col corpo e con le fattezze di Tyler, che a strangolarla c’erano le mani dell’amato e non quelle del prediletto di T’Kuvma, che a guardarla morire c’erano gli occhi dell’umano e non del Klingon.
Quello di Michael, tuttavia, ha più il sapore di un arrivederci che di un addio e forse la coppia non ha ancora terminato tutto quello che aveva da dire in questa serie.
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What’s Past Is Prologue 1×13 | ND milioni – ND rating |
The War Without, The War Within 1×14 | ND milioni – ND rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.