Quando si lavora con una saga così ricca e intricata come Star Trek, è praticamente impossibile resistere alla tentazione dei crossover. Tanto più quando si maneggia uno show come Strange New Worlds, cronologicamente molto vicino alla serie originale. E infatti un paio di episodi fa ha fatto la sua entrata in scena James T. Kirk. Quel Kirk.
Ma è possibile far incontrare anche personaggi di epoche molto più lontane. Basta un cunicolo spaziotemporale, un portale, un’anomalia, una qualsiasi generica spiegazione pseudoscientifica. Di conseguenza “Lost In Translation” e “Those Old Scientists” non sono affatto un fulmine a ciel sereno. E, cosa ancora più importante, non scadono nel peggiore citazionismo ma riescono a conciliare la giusta dose di fanservice con l’esigenza di continuare a caratterizzare i personaggi e le loro relazioni interpersonali.
VITA E MORTE
Il dettaglio che balza subito all’occhio in “Lost In Translation” è sicuramente la presenza, a bordo della USS Enterprise, del suo futuro capitano James T. Kirk, al momento semplice tenente a bordo della USS Ferragut. Come già detto, Kirk ha già avuto modo di ricoprire un ruolo importante nel precedente X, ma lì si trattava di una versione alternativa, di un’altra linea temporale. Questo invece è il “vero” Kirk e lo spettatore non può che emozi0narsi vedendolo interagire per la prima volta con i suoi futuri compagni, come Spock e soprattutto Uhura.
Quest’ultima è di fatto la vera protagonista dell’episodio, colei attorno cui ruota una vicenda non particolarmente originale o avvincente, ma di sicuro toccante. Come spesso accade in Star Trek, e in generale nella buona sci-fi, le disavventure fantascientifiche sono una metafora per problemi reali della vita di tutti i giorni: in questo caso, l’elaborazione del lutto.
Le allucinazioni di cui Uhura soffre hanno sì una causa “reale”, ma il loro contenuto è anche la proiezione di una difficoltà interiore, psicologica: la difficoltà a metabolizzare la morte di Hemmer. E dietro si nasconde un trauma ancora più antico, la morte dei genitori. Anzi, il fatto che Uhura trovi la soluzione al problema che affligge la nave riascoltando dopo anni le registrazioni di suo padre dimostra quanto sia importante, per andare avanti e continuare a vivere, lasciarsi alle spalle il passato doloroso. Il che non significa dimenticare o minimizzare il dolore, ma fare in modo che esso non continui a condizionare il presente.
Così come non devono continuare a condizionare il presente i vecchi screzi, come quello che corre fra Una e Pelia. Certo, far emergere solo adesso che le due si conoscano non è molto credibile, tanto più che per quasi tutto l’episodio le donne interagiscono come se davvero non avessero avuto a che fare l’una con l’altra in passato.
BENVENUTI NEL… PASSATO!
Più leggero, ma non per questo meno gradevole “Those Old Scientists”, che coinvolge nientemeno che il cast della serie animata Lower Deks. Questa scelta permette anche un certo grado di sperimentazione: le scene iniziali e finali sono animate, mentre nel segmento centrale ambientato sulla USS Enterprise i personaggi di Beckett e Brad sono interpretati dai loro doppiatori, Tawny Newsome e Jack Quaid. L’effetto finale è straniante ma anche molto divertente.
Com’è facile immaginare, Beckett e Brad si comportano come farebbe un nerd catapultato nel mondo dei suoi sogni: si guardano attorno costantemente stupefatti, non riescono a trattenere l’emozione, fanno commenti (a volte abbastanza sciocchi) sui loro beniamini del passato. In poche parole, sono tali e quali i fan della serie. E con i fan della serie condividono un altro aspetto importante: conoscono il destino dei personaggi. Noi spettatori già sappiamo che in qualche modo la relazione fra Spock e Chapel naufragherà, già sappiamo quale destino atroce attende Pike, già sappiamo dove si troveranno Spock, Uhura e Kirk fra qualche anno.
La conoscenza del futuro e la necessità di stare attenti a non condizionare gli eventi sono spunti seri, ma per fortuna la comicità scaturita dai comportamenti di Brad e Beckett evita all’episodio di prendersi troppo sul serio offrendo così una piacevole parentesi leggera dopo “Lost In Translation”, che invece sulle emozioni aveva puntato parecchio.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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“Lost In Translation” e “Those Old Scientists sono due episodi molto gradevoli, per quanto viaggino su toni molto diversi, e dimostrano come sia possibile creare dei crossover con altre serie Trek senza dover dar vita per forza a siparietti fanservice indigesti (prendi esempio Discovery).
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.