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Riguardo Stranger Things si è detto praticamente di tutto dal momento del suo debutto fino ad ora, con il rilascio della seconda stagione in blocco -come è consuetudine- da parte di Netflix. Testate americane hanno indorato la pillola ammettendo che “this is astoundingly efficient storytelling“, esprimendosi circa il lavoro proposto agli spettatori con la prima stagione. Ma, passato più di un anno da “Chapter Eight: The Upside Down“, la serie creata dai Duffer Brothers si trova ora alla prova del nove, pur avendo la certezza di una terza stagione. La serie decide di intraprendere questo secondo percorso in senso leggermente diverso: nonostante vengano enfatizzati e richiamati i problemi di Will con l’Upside Down, Stranger Things in questo primo capitolo preferisce soffermarsi sulla rappresentazione di un’apparentemente pacifica situazione di vita quotidiana ad Hawkins. Come detto, però, attorno a Will continua a costruirsi il supporto strutturale di trama attraverso il quale i giovani protagonisti della storia saranno poi riportati, verosimilmente, nel mondo al rovescio: la connessione con la tetra dimensione era stata abbozzata in conclusione della prima stagione, ma qui viene presentata come una situazione tenuta sotto controllo ed analizzata in maniera costante.
Un elemento che è da sottolineare ed evidenziare è però la maturazione della serie. No, non si sta parlando qui dei concetti o delle sottotrame intestine alla serie, quanto piuttosto del linguaggio generale dei piccoli avventurieri. Per la prima stagione i Duffer Brothers avevano ricevuto una bocciatura da parte di Netflix relativamente all’uso di sproloqui o in generale di un linguaggio volgare nei dialoghi di Will, Dustin, Mike e Lucas; tuttavia per questa seconda stagione, forti anche del nutrito gruppo di sostenitori e fan della serie, la proposta per l’introduzione delle parolacce ha sortito ben altro risultato. Il prodotto ultimato è quello che viene mostrato ed è corretto fare delle piccole annotazioni in merito. Con tale cambiamento il quartetto di protagonisti risulta per forza di cose meno simpatico agli occhi dello spettatore, abituato com’era ai ragazzini impacciati e timidi della prima stagione, dal momento che con il linguaggio con il quale vengono presentati i loro giovani visi sembrano non azzeccarci minimamente, creando una discrepanza e distanza tra vista-udito che confonde.
Non una decisione troppo felice, soprattutto se si considera che è il risultato di una sospinta richiesta da parte di fan che, a più riprese, hanno richiesto questo cambiamento. È giusto premettere che non si tratta di una critica diretta al linguaggio volgare in generale: qualsiasi serie, al giorno d’oggi, viene proposta più o meno in maniera poco edulcorata. Quello che si vuol far notare è come questo snaturamento dei dialoghi comporti non solo delle apparenti forzature all’interno dei dialoghi stessi (si veda la scena di Dustin in cerca di soldi per casa, per citarne una), ma anche e soprattutto dei cambiamenti molto forzati nella personalità dei personaggi, considerato l’abuso del volgare.
È vero che la simpatia che un personaggio suscita è un parametro soggettivo, e varia da spettatore a spettatore, ma Mike e compagni vengono privati di quella sbadataggine e di quel “candore” che tanto li rendeva speciali in quanto protagonisti di un drama dai toni fortemente oscuri.
Un elemento che è da sottolineare ed evidenziare è però la maturazione della serie. No, non si sta parlando qui dei concetti o delle sottotrame intestine alla serie, quanto piuttosto del linguaggio generale dei piccoli avventurieri. Per la prima stagione i Duffer Brothers avevano ricevuto una bocciatura da parte di Netflix relativamente all’uso di sproloqui o in generale di un linguaggio volgare nei dialoghi di Will, Dustin, Mike e Lucas; tuttavia per questa seconda stagione, forti anche del nutrito gruppo di sostenitori e fan della serie, la proposta per l’introduzione delle parolacce ha sortito ben altro risultato. Il prodotto ultimato è quello che viene mostrato ed è corretto fare delle piccole annotazioni in merito. Con tale cambiamento il quartetto di protagonisti risulta per forza di cose meno simpatico agli occhi dello spettatore, abituato com’era ai ragazzini impacciati e timidi della prima stagione, dal momento che con il linguaggio con il quale vengono presentati i loro giovani visi sembrano non azzeccarci minimamente, creando una discrepanza e distanza tra vista-udito che confonde.
Non una decisione troppo felice, soprattutto se si considera che è il risultato di una sospinta richiesta da parte di fan che, a più riprese, hanno richiesto questo cambiamento. È giusto premettere che non si tratta di una critica diretta al linguaggio volgare in generale: qualsiasi serie, al giorno d’oggi, viene proposta più o meno in maniera poco edulcorata. Quello che si vuol far notare è come questo snaturamento dei dialoghi comporti non solo delle apparenti forzature all’interno dei dialoghi stessi (si veda la scena di Dustin in cerca di soldi per casa, per citarne una), ma anche e soprattutto dei cambiamenti molto forzati nella personalità dei personaggi, considerato l’abuso del volgare.
È vero che la simpatia che un personaggio suscita è un parametro soggettivo, e varia da spettatore a spettatore, ma Mike e compagni vengono privati di quella sbadataggine e di quel “candore” che tanto li rendeva speciali in quanto protagonisti di un drama dai toni fortemente oscuri.
Will: “I was back there again.”
Doctor: “In the Upside Down? All right, so what happened next?”
Will: “I heard this noise, and so I went outside, and it was worse.”
Doctor: “How was it worse?”
Will: “There was this storm.”
Doctor: “Okay. So how did you feel when you saw the storm?”
Will: “I felt…frozen.”
Doctor: “Heart racing?”
Will: “Just frozen.”
Doctor: “Frozen, cold frozen? Frozen to the touch?”
Will: “No. Like how you feel when you’re scared and you can’t breathe or talk or do anything. I felt… felt this evil, like it was looking at me.”
Doctor: “It was evil? Well… What do you think the evil wanted?”
Will: “To kill.”
Doctor: “To kill you?”
Will: “Not me. Everyone else.”
Doctor: “In the Upside Down? All right, so what happened next?”
Will: “I heard this noise, and so I went outside, and it was worse.”
Doctor: “How was it worse?”
Will: “There was this storm.”
Doctor: “Okay. So how did you feel when you saw the storm?”
Will: “I felt…frozen.”
Doctor: “Heart racing?”
Will: “Just frozen.”
Doctor: “Frozen, cold frozen? Frozen to the touch?”
Will: “No. Like how you feel when you’re scared and you can’t breathe or talk or do anything. I felt… felt this evil, like it was looking at me.”
Doctor: “It was evil? Well… What do you think the evil wanted?”
Will: “To kill.”
Doctor: “To kill you?”
Will: “Not me. Everyone else.”
Questo problema legato alla maturazione non è però l’unico neo di una premiere sicuramente non esplosiva, ma interlocutoria. È proprio questa costruzione della puntata, come se fosse una gigantesca premessa, a non convincere in toto: il colpo di scena di Eleven doveva probabilmente risollevare il valore dell’episodio ma, considerato che del suo buono stato di salute lo spettatore già sapeva (ricordate Jim e gli Eggos?), quella scena risulta semplicemente un “ah, sì ci ‘sta anche Eleven da qualche parte“.
Nonostante la recensione fino a qui scritta possa apparire come una prepotente e continuativa critica, bisogna portare alla luce gli elementi validi e di qualità ricomparsi in scena. Prima di tutto è d’obbligo far menzione del comparto tecnico (regia e fotografia), che preso a sé potrebbe reggere benissimo qualsiasi lato negativo fin qui articolato: la scena di Will nell’Upside Down che intravede un mostro nella fitta nube che si para davanti a lui vale probabilmente da sola la visione dell’episodio. Unitamente a ciò, la caratterizzazione dei due giovani più importanti -Mike e Will- continua dall’esatto punto in cui si era lasciata, con qualche aggiunta: Mike viene mostrato ancora terribilmente colpito dal forzato addio ad Eleven, nonostante si dica che “il tempo curi le ferite“; Will invece appare costantemente tenuto sotto controllo e protetto sia da amici che da parenti, quasi fosse riposto sotto una campana di vetro, isolato dal mondo. Proprio questo comportamento delle persone a lui care crea una dicotomia importante relativamente a come, invece, il resto della scuola (o le persone in generale) si relazionino con lui. Il soprannome “Zombie Boy” ne è la dimostrazione lampante.
È giusto sottolineare che essendo il primo episodio di questa stagione il fattore “creiamo delle premesse” sia normale e sacro santo, ma “Chapter One: MADMAX” abusa di ciò e sembra deciso a voler vivere di rendita per buona parte dei minuti a sua disposizione, sfruttando elementi di cui si era già parlato (Upside Down), presentando personaggi e situazioni già conosciuti (il cast) e richiamando elementi solo per tenerli presenti allo spettatore, senza aggiungere nulla di veramente nuovo (Barb). Le uniche note veramente positive sono da annotare attorno ai primissimi minuti con l’apparizione di Eight (si chiamerà veramente così? Concedetecelo) e dei nuovi volti nella piccola cittadina di Hawkins, tra cui proprio la giovane ragazza che dà il nome all’episodio: Maxine.
Nonostante la recensione fino a qui scritta possa apparire come una prepotente e continuativa critica, bisogna portare alla luce gli elementi validi e di qualità ricomparsi in scena. Prima di tutto è d’obbligo far menzione del comparto tecnico (regia e fotografia), che preso a sé potrebbe reggere benissimo qualsiasi lato negativo fin qui articolato: la scena di Will nell’Upside Down che intravede un mostro nella fitta nube che si para davanti a lui vale probabilmente da sola la visione dell’episodio. Unitamente a ciò, la caratterizzazione dei due giovani più importanti -Mike e Will- continua dall’esatto punto in cui si era lasciata, con qualche aggiunta: Mike viene mostrato ancora terribilmente colpito dal forzato addio ad Eleven, nonostante si dica che “il tempo curi le ferite“; Will invece appare costantemente tenuto sotto controllo e protetto sia da amici che da parenti, quasi fosse riposto sotto una campana di vetro, isolato dal mondo. Proprio questo comportamento delle persone a lui care crea una dicotomia importante relativamente a come, invece, il resto della scuola (o le persone in generale) si relazionino con lui. Il soprannome “Zombie Boy” ne è la dimostrazione lampante.
È giusto sottolineare che essendo il primo episodio di questa stagione il fattore “creiamo delle premesse” sia normale e sacro santo, ma “Chapter One: MADMAX” abusa di ciò e sembra deciso a voler vivere di rendita per buona parte dei minuti a sua disposizione, sfruttando elementi di cui si era già parlato (Upside Down), presentando personaggi e situazioni già conosciuti (il cast) e richiamando elementi solo per tenerli presenti allo spettatore, senza aggiungere nulla di veramente nuovo (Barb). Le uniche note veramente positive sono da annotare attorno ai primissimi minuti con l’apparizione di Eight (si chiamerà veramente così? Concedetecelo) e dei nuovi volti nella piccola cittadina di Hawkins, tra cui proprio la giovane ragazza che dà il nome all’episodio: Maxine.
“Nobody calls me Maxine. It’s Max.”
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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La serie che più di qualsiasi altro prodotto televisivo/cinematografico vive del desiderio peterpanesco del proprio pubblico ha fatto ritorno. Ed insomma, si spera che il prosieguo riesca ad intrattenere o quanto meno avvicinarsi al livello qualitativo della prima stagione.
Chapter Eight: The Upside Down 1×08 | ND milioni – ND rating |
Chapter One: MADMAX 2×01 | ND milioni – ND rating |
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.