Dopo “429 giorni” dall’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump si può riassumere il quarto episodio di The Good Fight con questa frase estrapolata da un magnifico dialogo tra Diane e la sempre ben ritrovata Elsbeth Tascioni, dialogo che riassume anche l’impostazione generale data dai coniugi King a questa seconda annata in generale. A differenza della stagione d’esordio, infatti, per quanto visto finora e rispetto agli standard canonici della serialità a essere quasi completamente venuto meno è uno sviluppo orizzontale della narrazione, ma del quale, paradossalmente, non si sta percependo più di tanto la mancanza. Ogni più piccolo dettaglio sembra invece condurre verso la scelta coraggiosa – e proporzionalmente molto rischiosa, come spiegato anche nella recensione della premiere – di sfruttare fino in fondo l’attualità come collante delle storyline minori che vengono di volta in volta messe in scena. A cominciare, appunto, dai titoli degli episodi legati a stretto giro alla presidenza repubblicana, per continuare poi con i vari e disparati approfondimenti offerti sulla vita oltreoceano. Certamente non bisogna dimenticare l’insolito sviluppo della moria di avvocati in città, elemento non-sense completamente gradito a tutti i fan rimasti orfani da Braindead. La totale imprevedibilità e le piccole dosi che vengono offerte allo spettatore su questo versante, però, non permettono di considerare questa linea narrativa, che pur procede di episodio in episodio, fondamento della stagione.
Piuttosto è un apparente individualismo (da non interpretare in senso negativo) a condurre le danze e a fare da fil rouge lungo tutti i cinquanta minuti delle puntate. Ogni personaggio è protagonista della sua storia e tutti gli altri non sono che elementi secondari e proprio qui sta la forza del quarto episodio, connotato anche da alcune sfumature di metanarrazione: il caso di Lucca dedicato al fratello e il caso di Liz dedicato all’insegnante preferito del figlio potrebbero benissimo sussistere in se stessi, proprio come se fossero eventi individuali di una vita ordinaria. In realtà, e proprio letteralmente come succederebbe nella realtà, i due casi si intrecciano tra di loro mostrando congiunture e scambi reciproci andando a sviluppare in perfetta consonanza un episodio corale, dove la conclusione di tutto è una festa particolarmente poco frequentata, ma non per questo meno animata dalle risate di Diane. Forse una perfetta metafora del modo di fare televisione dei King, un approccio che negli anni è sempre più passato inosservato – ancora non ci si riesce a spiegare la cancellazione di Braindead – ma che continua a offrire il solito divertente e interessante giudizio in un mondo alla rovescia.
“I’m trying to explain it wasn’t the bias that you thought.”
“It was starfucking?”
“Yeah.”
“Good. Not sexual bias. Starfucking.”
A rendere il tutto ancora più realistico – 436 giorni dopo l’insediamento di Donald Trump – resta poi la particolare caratterizzazione che viene data ai vari protagonisti mentre si approcciano a questi avvenimenti sviluppati a partire dalla cronaca quotidiana. E questa di per sé è la vera e propria cifra stilistica che i King hanno sviluppato in questi anni, l’eredità maggiore che da The Good Wife è poi passata allo spin-off. Riprendendo ancora una volta il già citato dialogo tra Diane e Elsbeth: “He could be the hero and we could be the villains of the story. Or we’re the heroes and he’s the villain. That’s what keep us humble… not knowing.”
“Day 436” è la perfetta rappresentazione che dividere il mondo in buoni e cattivi è manicheo e inutile, perché alla fine ognuno è capace di stabilirsi su posizioni intermedie. In una perfetta liquidità comportamentale viene riproposto il tema #metoo, segno che per i produttori non era sufficiente affrontarlo solo in “Day 422“. Il caso di un attore modello e immacolato, dalla fedina penale pulita, che “rischia” di essere travolto da uno scandalo alla Kevin Spacey, viene continuamente rivoltato per poter mostrare tutti gli aspetti sociali e politici che ne sono interessati. A rimanere unica vincitrice, alla fine di questo continuo ribaltamento di prospettive, è la ricerca della verità. Una continua e inesauribile ricerca che non si esime dal macchiare di sbagli – e quindi di umanità – tutti i personaggi. Si passa da Adrian e la sua confessione alla presentatrice Naomi (Keesha Sharp) al desiderio di Colin di sposare Lucca poche ore dopo un rapporto con un’altra donna. Dalla madre di Colin e il trattamento preferenziale riservatole in quanto “madre di” fino alla stessa Maya, vera e propria good daughter dello show, e il suo travisamento delle intenzioni del poliziotto Vince Torino (interpretato dal pur odiabilissimo Terry Serpico). Infinite sfumature, com’è umano che sia.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Day 422 2×03 | ND milioni – ND rating |
Day 429 2×04 | ND milioni – ND rating |
Day 436 2×05 | ND milioni – ND rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.