“They need you upstairs in the conference room”
“Us, why?”
“Diversity.”
Se qualcuno cammina con i piedi sulla testa di qualcun altro quest’ultimo non è un uomo libero, per quanto possa esserne consenziente.
Adrian & Co. scoprono ben presto che l’esistenza di questo mistico piano di sopra rappresenta una vera e propria gerarchia, ben lontana dai modelli di indipendenza e collaborazione con cui si era presentata. Per quanto i downstairs possano essere eleganti e lussuosi, essi figurano ugualmente come latrina per i cani degli upstairs, e non è una frase figurata ma una precisa descrizione della realtà.
La STR Laurie non è una grande famiglia di cui far parte (i telespettatori dei King sanno bene che nessuna realtà aziendale è la famiglia unita che vuole apparire) né l’amico sincero e leale che vuole mostrarsi con questa smodata cortesia ostentata fin troppo dai fastidiosi sorrisi di Mr. Firth. La nuova misteriosa società acquirente della Reddick, Boseman & Lockhart ha infatti, per ora, il solo volto di John Larroquette che si dimostra perfetto nell’antipatico ruolo affibbiatogli, dove comunicano più gli infidi sorrisi sventolati delle parole quali fiducia, lealtà e rispetto, che Mr. Fith pronuncia con una certa sicurezza.
La storyline della nuova partnership appare molto allettante, prestandosi foriera di conseguenze dannose e di una serie di macchinose situazioni a cui i soci sono ben abituati. Basti pensare alla singolare vicenda che ha visto protagonista Adrian. In una società dove ormai è sempre più importante ciò che si dice rispetto a ciò che si comunica, Boseman non è libero di pronunciare la parolina con N. e in una situazione al limite dell’assurdo, dove l’indagine si svolge unicamente sul termine utilizzato senza alcun intento di contestualizzarlo, è Jay che ricorda a tutti quanti che non è questo il razzismo.
La vicenda è perfetta proprio per essere così paradossale da risultare irrealizzabile, impossibile. Proprio la circostanza di un evento così sciocco da non poter mai accadere ci incanala verso la giusta chiave di lettura dell’episodio: qua nulla ha a che fare con il razzismo. Un afroamericano che parla della discriminazione razziale citando la frase di un razzista è tutto fuorché razzismo, non ci piove. No, tutta questa pantomima non ha nulla a che fare con il razzismo, ma è piuttosto un chiaro segnale che l’indipendenza e la libertà della Reddick, Boseman&Lockhart sono finite con la firma della nuova partnership.
Meanwhile…
Mentre gli upstairs urinano sulle teste dei propri sottoposti, questi ultimi aprono le porte al ritorno di Frank Landau e del partito democratico che ingaggiano la Reddick, Boseman&Lockhart alla ricerca di spunti di riflessione per la sempre più vicina campagna elettorale nel tentativo di esplorare gli umori dell’elettorato afroamericano, risorsa tanto cara ai democratici.
Razzismo e diritti delle minoranze sono temi già ampiamente e ripetutamente affrontati dalla serie; eppure gli autori riescono di volta in volta a trovare forme diverse e originali in cui declinare l’argomento, arricchendo la narrazione con spunti, riflessioni e perplessità.
Senza voler affrettare il giudizio dopo soli tre episodi, questa quarta stagione di The Good Fight sembra promettere bene; gli elementi, d’altronde, ci sono tutti: Diane nel suo idealismo; Adrian e Liz nell’eterna scissione tra l’identità della Reddick e Boseman e il tracollo finanziario; Canning sempre più subdolo; uno studio sull’orlo della rivolta; i misteriosi e avversi piani alti; la corruzione giudiziaria; e poi c’è Marissa Gold…semplicemente divina.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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The Gang Tries To Serve A Subpoena 4×02 | ND milioni – ND rating |
The Gang Gets A Call From HR 4×03 | ND milioni – ND rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.