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Il completo cambio di registro nell’opera antologica di Mike Flanagan è definitivamente chiarito in questo terzo episodio. Come si sa, la storia di questa stagione prende spunto da “Il Giro di Vite” di Henry James che viene adattato agli anni ’80 del ‘900.
Stavolta l’orrore e il thriller vengono messi in secondo piano, scegliendo di raccontare storie più realistiche, legate sempre alla casa infestata che fa da trait d’union della serie antologica ma di cui essa sia espressione e non causa della profonda e celata disperazione dei personaggi.
Si conosce finalmente la buona parte della storia della tutrice precedente a Danielle. E anche la serie comincia a spiegare qualcosa per far capire allo spettatore cosa c’è dietro, dopo i primi episodi di ambientazione.
La povera (ma non solo) Rebecca Jessel è stata vittima dei raggiri perpetrati da Peter Quynt, aiutante dello zio degli orfani, Henry Wingrave. Due anime accomunate dal desiderio di fare carriera in un mondo che non li accetta veramente poiché di umile estrazione sociale (Peter) o perché donna (Rebecca).
Il sentimento quindi che muove i due è un’estrema ambizione e il potere che ne scaturisce da essa porterà Peter ad usare e abbandonare Rebecca poiché geloso di chi tenta di rubargliela (il tuttofare Owen). Un dramma decisamente molto comune di cui però ancora non viene spiegato il risvolto tragico e finale, il suicidio di Rebecca.
In tutto questo si incastona il personaggio di Danielle che oltre a fungere da mezzo con il quale lo spettatore conosce i vari personaggi serve anche a portare su un piano emozionale le varie vicende tristi e malinconiche. I suoi attacchi di panico e le ombre che le si manifestano, probabilmente frutto solo della sua immaginazione, tentano di immergere lo spettatore all’interno di un mondo fatto di totale repressione dei sentimenti. La loro mancata manifestazione verso gli altri viene mutuata verso la creazione di entità che si aggirano nella casa (la piccola Flora) o le crepe sulle pareti (la governante Hannah).
Tutti sostanzialmente soffrono tantissimo, afflitti da tragedie più o meno note, ma non riescono ad esprimerle nell’unico modo che, forse, farebbe bene: lasciandosi andare alle proprie sensazioni anche davanti agli altri, mostrando apparentemente la propria debolezza. Che in realtà è solo la propria umanità.
Sarebbe interessante se nei prossimi sei episodi venissero sviluppate le implicazioni psicologiche legate ai drammi personali di ogni personaggi. È evidente che finora l’aspetto più orrorifico viene sfruttato solo in brevissimi momenti, praticamente nei cliffhanger finali di ogni episodio, ricordando allo spettatore che c’è sempre qualcosa in agguato. Nella casa come nella nostra mente.
Vengono inoltre introdotti meglio i personaggi secondari illustrando meglio i loro caratteri. Così i dipendenti della casa non rimangono sullo sfondo ma acquisiscono un ruolo molto più attivo. Per un’ambientazione chiusa come questa, era doveroso ma non scontato.
Da un punto di vista tecnico, si nota come si vuole curare il prodotto cercando anche di lavorare su una regia e una fotografia che evochi sensazioni diverse. Anche qui, dovrebbe essere scontato ma spesso ci si trova davanti a soluzioni banali in prodotti simili. Se non altro, qui si ha un’idea chiara di dove si vuole andare. Il voto è però medio perché ancora non risalta niente che faccia gridare all’originalità o alla piacevole particolarità. C’è un’idea che si sta seguendo ma andrebbe sviluppata osando molto di più. Dopotutto il materiale c’è e le potenzialità anche.
Da un punto di vista tecnico, si nota come si vuole curare il prodotto cercando anche di lavorare su una regia e una fotografia che evochi sensazioni diverse. Anche qui, dovrebbe essere scontato ma spesso ci si trova davanti a soluzioni banali in prodotti simili. Se non altro, qui si ha un’idea chiara di dove si vuole andare. Il voto è però medio perché ancora non risalta niente che faccia gridare all’originalità o alla piacevole particolarità. C’è un’idea che si sta seguendo ma andrebbe sviluppata osando molto di più. Dopotutto il materiale c’è e le potenzialità anche.
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Episodio interessante che sembra alzare il livello. Si attende fiduciosi che si prosegua su questa strada.
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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.