La fuga di Cora si interrompe bruscamente in questo terzo appuntamento, con la fuggiasca costretta a rifugiarsi nella soffitta di un abolizionista del North Carolina. Uno Stato, questo, dove i neri sono forse trattati peggio che in Georgia: semplicemente non viene tollerata la loro esistenza, nemmeno come schiavi.
NORTH CAROLINA
La ricostruzione del clima sociale, culturale e religioso che si respirava all’epoca nella Carolina del Nord è rappresentata ottimamente: dal rogo dei libri al razzismo imperante sino ad un ultra confessionalismo che permea l’intera comunità, quasi inghiottendola. Tutti elementi che caratterizzano al meglio l’odio verso gli schiavi e una mentalità fortemente chiusa, dove persino gli irlandesi sono considerati inferiori in quanto immigrati.
La purezza della società bianca dello Stato, pura e incontaminata come Dio vuole, mantra ripetuto da diversi personaggi, racchiude uno degli elementi chiave della mentalità degli Stati del Sud dell’epoca, ideologie non del tutto superate anche al giorno d’oggi, purtroppo.
IL CAST
In questo terzo episodio vi è una splendida prova attoriale da parte di Thuso Mbedu, Damon Herriman e Lily Rabe rispettivamente nei panni di Cora, il signor Martin e sua moglie Ethel.
Se sulla bravura della Mbedu non si avevano dubbi sin dal pilot, sorprendono le performance di Herriman e Lily Rabe: in particolar modo, Ethel appare un personaggio complesso, guidata da uno strano mix tra una religiosità che le impone di salvare i neri, unita ad un fortissimo razzismo verso gli stessi e gli irlandesi, giudicati senza troppi giri di parole come “razze inferiori”.
Al contrario, non vengono spiegate sino in fondo le motivazioni che muovono il signor Martin ad aiutare gli schiavi fuggiaschi, ma il suo tormento per la situazione è reso bene nelle numerose scene che lo vedono aiutare, a modo suo, Cora e la piccola Grace.
Il finale di puntata, con Cora che viene di nuovo catturata da Ridgeway e i coniugi Martin che fanno una brutta fine è sicuramente inaspettato e bello, anche se un po’ tirato, con la scoperta, inoltre, della ferrovia sotterranea distrutta in North Carolina. Paradossalmente è solo negli ultimi dieci minuti della puntata che la narrazione decolla a scapito degli altri 60 dove invece succede ben poco.
IL RITMO NARRATIVO
Sono due gli elementi che rendono questa puntata veramente ardua da guardare: un minutaggio biblico e veramente eccessivo, ben 70 minuti, e una narrazione estremamente lenta e compassata che, nonostante l’ampio screen time a disposizione, è caratterizzata da un ritmo estremamente basso.
Nonostante questo, vi sono diversi buchi di trama che saltano subito all’occhio, in particolar modo Arnold Ridgeway, cacciatore di schiavi insieme al piccolo aiutante nero Homer: come è arrivato in North Carolina proprio nella casa dove è nascosta Cora? Il sud degli Stati Uniti è un territorio enorme e non vi era nessun indizio particolare su dove fosse diretta Cora, semplicemente perché nemmeno lei sapeva dove stava andando.
Si comprendono le esigenze degli autori e il voler delegare tutto ad un certo simbolismo, con Ridgeway che a tale domanda risponde che, in realtà, è stata la schiava a trovare lui, richiamando un aspetto mistico e legato al destino. Tuttavia, si poteva sicuramente fare meglio e fornire una spiegazione decente e con un minimo di logica, visti soprattutto i 70 minuti a disposizione.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Un finale di puntata a sorpresa, bello e struggente non basta a far decollare un episodio con una narrazione pachidermica, ulteriormente gravata da un minutaggio veramente eccessivo. Nonostante diversi elementi positivi, come le prove attoriali del cast e una buona ricostruzione sociale dell’epoca, la generale pesantezza della narrazione fa sì che la valutazione dell’episodio non possa andare oltre una semplice sufficienza.
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Venera due antiche divinità: Sergio Leone e Gian Maria Volontè.
Lostiano intransigente, zerocalcariano, il suo spirito guida è un mix tra Alessandro Barbero e Franco Battiato.