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“I used to tell myself he was asking to be better. Better to us. A better man. And then I would pray. Pray that it would work. That he would change. Then, when he never did…that’s when I gave up on all of this. Every hand you’ve dealt me has been crap. But still, I kept trying. All these years…trying to always do what’s right. Trying to be the better man; the man that he never was. Has that made you laugh… seeing me try? Knowing that, somewhere deep down…in spite of everything, that I probably still believed. The only good thing that has ever happened to me is her and if you…Please do not take her away from me. I am begging you. I’m on my knees begging for her. Begging for my children. Take me if you want, just don’t…Just don’t. Don’t you dare.”
Una delle più grandi paure dell’uomo, inteso come individuo, è l’infrangersi della quotidianità nel piccolo angolo privato che, con dedizione e fatica, è riuscito a ritagliarsi in questo mondo totalmente volto alla condivisione. Per questo principio, il pubblico a volte storce il naso quando la quotidianità (specie se quella negativa) colpisce in maniera tanto diretta il mondo della televisione come avvenuto in questo avvio di quinta stagione di This Is Us. La realtà, posto da cui la gente fugge andandosi a nascondere nella finzione delle serie tv, fa paura. E l’avvelenamento di queste ultime ad opera della quotidianità spaventa ancora di più perché quel famigerato angolo privato viene snaturato e diventa progressivamente sempre più simile alla realtà rendendola indistinguibile dalla finzione.
Una scelta coraggiosa quella della serie NBC, specie se la quotidianità di oggi parla di contagi, virus, quarantena, manifestazioni, diritti civili, disumanità, tutti argomenti da cui il pubblico tende ad estraniarsi per timore e che fatica a digerire se ripresentati (pur in un’altra modalità) all’interno di una serie tv. Ma si tratta di una scelta obbligata e doverosa. Inutile nascondersi dietro un dito, quindi: è obbligatoria perché se This Is Us ha la pretesa di raccontare la fattualità americana in tutti i suoi aspetti (come già dimostrato nelle precedenti stagioni), non si può eliminare questo preciso momento storico dall’equazione; è doverosa perché tramite la messa in scena televisiva si dona ulteriore risalto a tematiche che devono rimanere nella mente del pubblico, indipendentemente che si tenti di fuggirne oppure no.
Un racconto nitido e reale, quindi, che però This Is Us ostenta forse eccessivamente: la quotidianità non diventa elemento del contesto narrativo, ma ne diventa forse troppo eccessivamente l’attore principale calamitando attenzione e minutaggio a discapito del resto. Fortunatamente questa seconda parte, pur risentendo degli influssi dell’episodio precedente, riesce a dosare in maniera decisamente più saggia il tempo a disposizione concedendo al pubblico l’ennesimo spaccato del passato riguardante Randall e la sua nascita giungendo a fine episodio alla rivelazione che sua madre non era affatto morta come si credeva. Colpo di scena, poi il sipario. Ma non si può non storcere il naso: ora che a livello familiare (con Beth) tutto sembra essere tornato alla normalità e Randall sembra stia finalmente trovando un proprio equilibrio (non solo mentale, ma anche correlato al suo legame con Kevin e Kate, come appuntato durante il dialogo con la sorella verso metà episodio), mancava giusto un’ulteriore rivelazione attorno ai genitori biologici di Randall. Un uomo senza pace, una sorta di Giobbe rivisitato da Dan Fogelman & Co.
Per quanto riguarda il resto del minutaggio, viene concentrato attorno alle figure di Kevin e Kate, visto e considerato che Rebecca viene portata in salvo già ad inizio puntata.
Kevin e Kate stanno progressivamente portando avanti le loro rispettive famiglie. Nuclei da poco comparsi (quello di Kevin, ancora una novità) e nuclei già rodati e messi alla prova (Kate-Toby, pronti all’adozione di un figlio). Parallelamente a queste crescite familiari, Randall (che una famiglia ben consolidata già ce l’ha) sembra star riscoprendo se stesso sia per evidenti motivi politici-sociali (George Floyd ed il movimento Black Lives Matter), sia per motivi “medici”. Le sedute dalla psicologa stanno evidentemente aiutando l’uomo ad avere maggior controllo delle sue emozioni, oltre ad una maggiore considerazione di se stesso quando si ritrova a confrontarsi con altre persone.
Feste di compleanno separate, quindi, sintomatico di un allontanamento che sembra assumere connotazioni razziali: così potrebbe essere intesa la scelta di Randall, più vicino alle sue persone (come da lui identificate) rispetto alla propria sorella o al proprio fratello. Un senso comunitario forte, ma che svilisce quello familiare, caratteristica molto forte all’interno di This Is Us, che è riuscito a reggere fino a questo momento nonostante i più che giustificati alti e bassi.
Una scelta coraggiosa quella della serie NBC, specie se la quotidianità di oggi parla di contagi, virus, quarantena, manifestazioni, diritti civili, disumanità, tutti argomenti da cui il pubblico tende ad estraniarsi per timore e che fatica a digerire se ripresentati (pur in un’altra modalità) all’interno di una serie tv. Ma si tratta di una scelta obbligata e doverosa. Inutile nascondersi dietro un dito, quindi: è obbligatoria perché se This Is Us ha la pretesa di raccontare la fattualità americana in tutti i suoi aspetti (come già dimostrato nelle precedenti stagioni), non si può eliminare questo preciso momento storico dall’equazione; è doverosa perché tramite la messa in scena televisiva si dona ulteriore risalto a tematiche che devono rimanere nella mente del pubblico, indipendentemente che si tenti di fuggirne oppure no.
Un racconto nitido e reale, quindi, che però This Is Us ostenta forse eccessivamente: la quotidianità non diventa elemento del contesto narrativo, ma ne diventa forse troppo eccessivamente l’attore principale calamitando attenzione e minutaggio a discapito del resto. Fortunatamente questa seconda parte, pur risentendo degli influssi dell’episodio precedente, riesce a dosare in maniera decisamente più saggia il tempo a disposizione concedendo al pubblico l’ennesimo spaccato del passato riguardante Randall e la sua nascita giungendo a fine episodio alla rivelazione che sua madre non era affatto morta come si credeva. Colpo di scena, poi il sipario. Ma non si può non storcere il naso: ora che a livello familiare (con Beth) tutto sembra essere tornato alla normalità e Randall sembra stia finalmente trovando un proprio equilibrio (non solo mentale, ma anche correlato al suo legame con Kevin e Kate, come appuntato durante il dialogo con la sorella verso metà episodio), mancava giusto un’ulteriore rivelazione attorno ai genitori biologici di Randall. Un uomo senza pace, una sorta di Giobbe rivisitato da Dan Fogelman & Co.
Per quanto riguarda il resto del minutaggio, viene concentrato attorno alle figure di Kevin e Kate, visto e considerato che Rebecca viene portata in salvo già ad inizio puntata.
Kevin e Kate stanno progressivamente portando avanti le loro rispettive famiglie. Nuclei da poco comparsi (quello di Kevin, ancora una novità) e nuclei già rodati e messi alla prova (Kate-Toby, pronti all’adozione di un figlio). Parallelamente a queste crescite familiari, Randall (che una famiglia ben consolidata già ce l’ha) sembra star riscoprendo se stesso sia per evidenti motivi politici-sociali (George Floyd ed il movimento Black Lives Matter), sia per motivi “medici”. Le sedute dalla psicologa stanno evidentemente aiutando l’uomo ad avere maggior controllo delle sue emozioni, oltre ad una maggiore considerazione di se stesso quando si ritrova a confrontarsi con altre persone.
Feste di compleanno separate, quindi, sintomatico di un allontanamento che sembra assumere connotazioni razziali: così potrebbe essere intesa la scelta di Randall, più vicino alle sue persone (come da lui identificate) rispetto alla propria sorella o al proprio fratello. Un senso comunitario forte, ma che svilisce quello familiare, caratteristica molto forte all’interno di This Is Us, che è riuscito a reggere fino a questo momento nonostante i più che giustificati alti e bassi.
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Sarà davvero un anno senza sorprese? Considerato il finale risulta molto difficile crederlo.
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.
Ci hanno preso troppo gusto a “resuscitare” i personaggi creduti morti…
Questa poi, alla Beautiful proprio…