WandaVision non poteva essere realizzato in un momento migliore per la serialità televisiva. Anche le critiche (alcune va detto con assoluto fondo di verità) mosse allo show di Jac Schaeffer non fanno però che denotarne l’altrettanto assoluta eccezionalità, specie se visto all’interno dell’attuale momento storico che il piccolo schermo sta affrontando.
L’inconsistenza narrativa, per certi versi comprensibile mentre per altri decisamente presunta, con cui alcuni hanno tacciato e ridimensionato l’esperimento della Marvel, può essere sicuramente una lettura percorribile, eppure, considerandone tutti gli aspetti, sarebbe davvero troppo semplice. “We Interrupt This Program” è stato tutto “spiegone”? Sì, ma uno spiegone bellissimo, per diversi motivi. Perché non si può non riconoscerne i meriti, tanto quelli oggettivi alla portata di tutti e che hanno portato una cospicua frangia di utenti ad accoglierla positivamente, quanto quelli più profondi, clamorosi e di interessante interpretazione.
Per esempio si può notare come la scelta della “messa in streaming” settimanale abbiano evidenziato una disabitudine dello spettatore televisivo in merito (già lamentata da alcuni fan nella seconda stagione di The Boys, su Amazon), così come per altri aspetti della “tradizione”, dal cliffhanger finale d’episodio senza che ci sia il pulsante Netflix per quello successivo, fino alla breve durata, nell’odierna era del minimo minutaggio (spesso oltremodo superfluo) di un’ora. Ma soprattutto, specie nei primi episodi, ha evidenziato la disabitudine al piacere (anche passivo) della singola fruizione, al godersi l’attesa tra un episodio e l’altro e nel frattempo analizzarlo (attivamente) in tutti i suoi particolari (aspetto che a Recenserie, com’è facilmente intuibile, è tenuto ancora in alta considerazione).
WandaVision ha così il merito di non voler dimenticare la gloriosa strada che si è fatta, i passaggi cruciali che hanno segnato la destinazione di questa massima era di produzione seriale. Dove addirittura tale produzione è diventata quasi “eccessiva”, a livello quantitativo quanto qualitativo, dalla quale è scaturito una sorta di elevata standardizzazione, caratterizzata sempre più spesso da scarsa originalità.
GENITORI IN BLUE JEANS
Si capisce perché, allora, questa riflessione post-moderna sulla serialità televisiva americana, attuata in pieno post-Golden Age, arrivi nel momento più azzeccato possibile.
“On A Very Special Episode…” continua allora con perfetta coerenza il percorso avviato da “Filmed Before A Live Studio Audience“, dopo la momentanea interruzione di (per l’appunto) “We Interrupt This Program“, catapultandosi nei luccicanti e calorosi anni ’80. Ed altrettanto coerente, soprattutto, è l’attenzione, tanto narrativa quanto tecnica, con cui ogni puntata viene confezionata.
Ciò che puntualmente sorprende non è solo l’incredibile e dettagliata riproposizione formale, di cui si è abbondantemente parlato, di ciò che caratterizzava le produzioni televisive del diverso periodo, dalla regia alla fotografia, dal trucco e parrucco ai costumi, fino a toccare persino i dialoghi e i toni del racconto; ma anche e soprattutto l’intenzione di coglierne persino i cambiamenti sociali. Come se, all’interno della serie, gli autori volessero anche mostrare come la realtà storicamente influenzi la messa in scena e viceversa, come mai prima d’ora, visto che è esattamente ciò che avviene nell’episodio.
Dopo la comicità scanzonata e rassicurante delle tv delle origini, quindi, adesso si passa a storie famigliari inserite in un mondo che sta cambiando (il nativo “computer” a lavoro di Vision), con nuove tematiche, via via più “aperte” (la “libido” compiaciuta di Agnes), drammatiche e conflittuali. Si tratta di quella fase di cruciale transizione televisiva tra il passato e il futuro, inaugurato da Hill Street Blues nell’87 e poi culminato in Twin Peaks nei rivoluzionari e fatidici anni ’90, dove l’elemento conturbante occupa progressivamente una rilevanza sempre più decisiva (esattamente, ancora, come accade nella serie Marvel), colpendo guarda caso forma e contenuto, di pari passo, infine aprendo di fatto all’imminente Golden Age dalla quale non si è più tornati indietro (o, meglio, non ancora).
SCONFINAMENTO
E quale contenuto più conturbante, allora, che la morte, o meglio la sua elaborazione, vera protagonista di puntata? Niente in questa serie sembra essere affidato al caso o fine a se stesso, ma si può individuare sempre un rimando, metaforico o palese, a qualcosa di più alto, tanto nella struttura della serie quanto nella coscienza stessa di Wanda. A testimonianza di ciò, il contrasto tra quell’idilliaco “because family is forever” (ed il finale non è un caso) con cui la donna rassicura i suoi due bambini, con la tragicità della morte di Sparky in cui li invita fermamente ad accettarla e a non contare perennemente sui suoi poteri, poiché sono nulli di fronte ad essa. Wanda parla ai suoi figli, ma sta parlando a se stessa, come in una delirante seduta di auto-analisi: i gemelli ed i loro traumi infantili; la forzata crescita improvvisa e la percezione/distorsione della realtà; infine l’elaborazione del lutto e dei propri sensi di colpa.
Più Wanda incomincia a venire a patto con le sue colpe, più inizia a perdere il controllo ed il risultato è lo “sconfinamento” della realtà nella “sua” finzione, a tutti i livelli possibili. A partire dalla stessa Wanda, che letteralmente oltrepassa i confini di Westview per il suo primo vero scontro (ad altissima intensità) con la S.W.O.R.D., fantastico per tensione. Magistrale la discussione tra lei e Vision, in finale d’episodio, sovrapposta ai titoli di coda, che segna quindi la (temporanea?) completa rottura con le regole dello stesso show televisivo (e che arriva a rivelare, per quanto sottilmente, che può non essere tutta “colpa” di Scarlet Witch).
Si può inoltre constatare l’invadenza che l’esterno esercita sulla “trama di Westview”, con alcuni personaggi, per esempio quello di Emma Caulfield, del tutto accantonati (e chissà se proprio la Caulfield non torni nella prossima, con gli anni ’90 di Buffy, tra gli altri). Al solito, infine, a ricordare il difficile passato di Wanda ci pensa l’ennesimo inserto pubblicitario, lo scottex Lagos ed il raffinato slogan “for when you make a mess, you didn’t mean to“, che rimanda all’incidente causato da Wanda in Captain America: Civil War.
“SHE RECAST PIETRO?”
Tragico incidente ricordato, non a caso, dal direttore della S.W.O.R.D. Tyler Hayward, durante il briefing nel quale, oltre a non nascondere la sua diffidenza nei confronti della Maximoff (vero villain della serie?), suggerisce un’altra lettura, poi resa completa dallo sconvolgente finale. Poiché insieme al discorso sulla serialità, il Marvel Cinematic Universe, dopo tredici anni di vita, sembra riflettere anche sulla sua di storia, muovendosi alla stessa maniera: con uno sguardo al passato ed uno al futuro. Tanti infatti continuano ad essere i riferimenti e sempre senza che siano esclusivamente delle strizzate d’occhio ai fan, ma fondamentali per la narrazione.
Detto di Lagos e degli accordi di Sokovia, si aggiungono quelli ad Infinity War e al ruolo di Wanda nella battaglia, con il suo aver tenuto testa a Thanos che sottolinea, di riflesso, la straordinaria portata dei suoi poteri. Inoltre, viene citata Captain Marvel, il suo arrivo in Endgame (sempre contro Thanos), ma è soprattutto l’espressione di Monica Rambeau, dato il suo legame con la super-eroina, a destare maggiore interesse. Fino alla sconvolgente comparsa di (un) Pietro, fratello di Wanda, già preventivata da alcuni (anche grazie all’aiuto di infauste immagini leakate) per via della “resurrezione” di Vision, ma dalle modalità decisamente sorprendenti.
Qui lo “sconfinamento” diventa totale: la quarta parete, già messa a serio rischio a più riprese, viene sbriciolata da quel meraviglioso “She recast Pietro?“ della Dennings. L’uso di Evan Peters, ossia il Quicksilver dell’Universo degli X-Men, reso possibile dall’acquisizione della FOX da parte della Disney, apre così al futuro e ad innumerevoli implicazioni. Può essere solo un altro gustoso easter egg, oppure l’inizio di una nuova Fase, quella del multi-verso, introdotto dal film di Doctor Strange ed al centro dei prossimi piani di Kevin Feige, dallo stesso sequel Doctor Strange In The Multiverse Of Madness in cui Wanda sarà presente, fino al chiacchierassimo (e ancora senza titolo) terzo capitolo di Spiderman.
Certo, la comparsa di Peters può essere solo l’espediente forzato da una possibile defezione di Aaron Taylor-Johnson, il Quicksilver “originale” scomparso in Avengers: Age of Ultron. Anche fosse così, difficile pensare ad un escamotage altrettanto brillante.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Più prosegue, più l’esperimento della Marvel si arricchisce, a tutti i livelli produttivi immaginabili, senza smettere di sorprendere ma anzi, compiendo salti sempre più audaci e clamorosi. In un modo o nell’altro, non si torna più indietro.
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.