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C’è stato un momento nella storia della televisione in cui, semplificando al massimo il concetto, si è deciso che il puro intrattenimento non era sufficiente. Da una forma narrativa di consumo poteva nascere un racconto strutturato, diviso in capitoli, che avrebbe potuto coinvolgere e richiedere un impegno maggiore all’attenzione degli spettatori.
L’hic et nunc del prodotto di intrattenimento assume così le sembianze di un’opera la cui fruizione è solo una prima fase di godimento della stessa, sia per la raccolta continua di elementi le cui somme verranno tirate solo in un preciso momento, sia perché lo spettatore ha modo di sedimentare e riflettere su quanto visto solo dopo un processo di “digestione”.
Ogni tanto si rompe anche le palle? Beh, sì.
Il vantaggio di creare una serie come Westworld è che tutti i dettagli scenici e narrativi di cui ogni settimana si parla e riparla garantiranno sempre quella qualità utile a sopperire il suddetto rompimento. Questo poco elegante fattore può determinare un metro di giudizio in una serie tv? Non è questa la sede per discuterne, ma può rappresentare il giusto punto di partenza per inquadrare “Phase Space”.
Il sesto episodio di questa seconda stagione di Westworld rimanda a illustri colleghi della HBO, come ad esempio quel Game Of Thrones dove interi episodi sono riservati semplicemente a portare avanti le singole storyline. La differenza, in questo caso, è che la direzione è poco percettibile. Ciò crea il duplice effetto di aumentare la curiosità, in certi momenti, ma di incrementare il tasso di distrazione in altri.
Se si vuole cercare un momento vagamente risolutivo lo si può trovare in Maeve. La parentesi giapponese ha dato più l’impressione di una diversione “verticale” per lo show, che un vero e proprio elemento importante per la trama (come invece poi probabilmente si rivelerà). Sta di fatto che il viaggio dell’ex prostituta e compagni conduce in quell’ambiente da lei tanto sognato e sospirato, ovvero il campo di grano dove aveva perso la figlia in una delle sue “trame” precedenti. Tanto suggestivo il momento del ritrovamento, quanto crudele (e forse anche scontata) la scoperta di essere stata rimpiazzata, come poi era successo a tante altre attrazioni del parco (basti pensare nella prima stagione al padre di Dolores). Il fugone che ne segue si sposa alla perfezione con il caos su cui questa stagione si regge, contrario all’apparente ordine della prima stagione.
Se Maeve la si è vista in un’apparente stato di “arrivo”, smentito poi dall’attacco degli indiani, chi si trova in una fase che più di transizione non si può è Dolores e compagni. Come sempre, però, le scene riservate alla splendida Evan Rachel Woods sono quelle che ricordano i motivi per cui Westworld ha conquistato così tanto gran parte degli appassionati telespettatori. Degno di nota il flashback (?) iniziale in cui, a quanto pare, Bernard viene addestrato ad apparire come Arnold, in un gioco di scambio di ruoli, creando un contrasto con gran parte degli incipit della prima stagione, in cui Dolores veniva posta in uno stato di “sottomissione” in quanto androide da addestrare. Il reset a Teddy aggiunge poi quel grado di incertezza, caciara e sparigliamento di carte che male non può fare.
L’incontro e confronto tra uomo in nero e figlia tridimensionalizza di molto il personaggio, oltre a regalarne uno nuovo allo show. Non si può non notare, però, come quella che era stata una figura tanto affascinante e misteriosa nella prima stagione, culminando con un colpo di scena spazio-temporale, ne esca ridimensionata non avendo, allo stato attuale delle cose, granché da dire.
Sicuramente Bernard e Elsie hanno dalla loro il lato più intrigante di trama, seppur all’inizio apparentemente sotto tono. Sono quelle porzioni di episodio per cui sarebbe facile distrarsi: diversi termini tecnici, parole sussurrate, flashback improvvisi, ed il gioco è fatto. Con un po’ di attenzione, invece, si nota come i due cercano di andare a fondo del problema, scoprendo che le attrazioni sono mosse da uno spirito di “improvvisazione”. Da lì la specie di viaggio interiore di Bernard in quanto attrazione egli stesso, da lì l’incontro con un old friend, insinuato nelle coscienze artificiali e artefice di tutto il caos che ne deriva.
L’hic et nunc del prodotto di intrattenimento assume così le sembianze di un’opera la cui fruizione è solo una prima fase di godimento della stessa, sia per la raccolta continua di elementi le cui somme verranno tirate solo in un preciso momento, sia perché lo spettatore ha modo di sedimentare e riflettere su quanto visto solo dopo un processo di “digestione”.
Ogni tanto si rompe anche le palle? Beh, sì.
Il vantaggio di creare una serie come Westworld è che tutti i dettagli scenici e narrativi di cui ogni settimana si parla e riparla garantiranno sempre quella qualità utile a sopperire il suddetto rompimento. Questo poco elegante fattore può determinare un metro di giudizio in una serie tv? Non è questa la sede per discuterne, ma può rappresentare il giusto punto di partenza per inquadrare “Phase Space”.
Il sesto episodio di questa seconda stagione di Westworld rimanda a illustri colleghi della HBO, come ad esempio quel Game Of Thrones dove interi episodi sono riservati semplicemente a portare avanti le singole storyline. La differenza, in questo caso, è che la direzione è poco percettibile. Ciò crea il duplice effetto di aumentare la curiosità, in certi momenti, ma di incrementare il tasso di distrazione in altri.
Se si vuole cercare un momento vagamente risolutivo lo si può trovare in Maeve. La parentesi giapponese ha dato più l’impressione di una diversione “verticale” per lo show, che un vero e proprio elemento importante per la trama (come invece poi probabilmente si rivelerà). Sta di fatto che il viaggio dell’ex prostituta e compagni conduce in quell’ambiente da lei tanto sognato e sospirato, ovvero il campo di grano dove aveva perso la figlia in una delle sue “trame” precedenti. Tanto suggestivo il momento del ritrovamento, quanto crudele (e forse anche scontata) la scoperta di essere stata rimpiazzata, come poi era successo a tante altre attrazioni del parco (basti pensare nella prima stagione al padre di Dolores). Il fugone che ne segue si sposa alla perfezione con il caos su cui questa stagione si regge, contrario all’apparente ordine della prima stagione.
Se Maeve la si è vista in un’apparente stato di “arrivo”, smentito poi dall’attacco degli indiani, chi si trova in una fase che più di transizione non si può è Dolores e compagni. Come sempre, però, le scene riservate alla splendida Evan Rachel Woods sono quelle che ricordano i motivi per cui Westworld ha conquistato così tanto gran parte degli appassionati telespettatori. Degno di nota il flashback (?) iniziale in cui, a quanto pare, Bernard viene addestrato ad apparire come Arnold, in un gioco di scambio di ruoli, creando un contrasto con gran parte degli incipit della prima stagione, in cui Dolores veniva posta in uno stato di “sottomissione” in quanto androide da addestrare. Il reset a Teddy aggiunge poi quel grado di incertezza, caciara e sparigliamento di carte che male non può fare.
L’incontro e confronto tra uomo in nero e figlia tridimensionalizza di molto il personaggio, oltre a regalarne uno nuovo allo show. Non si può non notare, però, come quella che era stata una figura tanto affascinante e misteriosa nella prima stagione, culminando con un colpo di scena spazio-temporale, ne esca ridimensionata non avendo, allo stato attuale delle cose, granché da dire.
Sicuramente Bernard e Elsie hanno dalla loro il lato più intrigante di trama, seppur all’inizio apparentemente sotto tono. Sono quelle porzioni di episodio per cui sarebbe facile distrarsi: diversi termini tecnici, parole sussurrate, flashback improvvisi, ed il gioco è fatto. Con un po’ di attenzione, invece, si nota come i due cercano di andare a fondo del problema, scoprendo che le attrazioni sono mosse da uno spirito di “improvvisazione”. Da lì la specie di viaggio interiore di Bernard in quanto attrazione egli stesso, da lì l’incontro con un old friend, insinuato nelle coscienze artificiali e artefice di tutto il caos che ne deriva.
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Episodio sempre di altissima fattura, ci si aspettano tuttavia ben altri botti verso la fine della stagione. Non si può non considerare “Phase Space” come momento estremamente transitorio.
Akane No Mai 2×05 | 1.55 milioni – 0.6 rating |
Phase Space 2×06 | 1.11 milioni – 0.4 rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.