Non c’è Senna senza Prost. Non c’è Messi senza Cristiano Ronaldo. Non c’è Magic Johnson senza Larry Bird, o, più precisamente, non c’è rivalità più affascinante che quella tra i Los Angeles Lakers e i Boston Celtics. Poteva quindi il duo Borenstein & Hecht farsi sfuggire questa opportunità? Ovviamente no. Anzi, sin da “The Swan“, che illustrava anche la storia cestistica di Jerry West, era possibile intravedere la nascita della famosa rivalità tra le due più prestigiose franchigie dell’NBA. Una rivalità nata infatti nei lontanissimi anni ’60, in cui i Celtics di Bill Russell dominavano i parquet americani come nessun’altra legacy ha mai fatto da allora.
Giunti alla settima puntata di quella che si preannuncia essere solo la prima stagione, il livello artistico è ormai consolidato in uno standard mai visto prima nella storia della televisione. Ogni scelta tecnica, curata metodicamente in pre-produzione, sta dando i suoi frutti, regalando perle di televisione puntata dopo puntata. Non è però dello stesso parere Jerry West, che si è lamentato pubblicamente della sua rappresentazione nella serie, chiedendo ritrattazioni e scuse riguardanti la caratterizzazione, abbastanza sopra le righe, del suo personaggio, interpretato da un ottimo Jason Clarke. In più, c’è da segnalare una doverosa inesattezza storica (giustificata tuttavia dal disclaimer a fine puntata): i Lakers in realtà vinsero contro Detroit per 123-100; una piccola licenza poetica degli autori per dare peso all’impresa compiuta a Boston.
Paul Westhead: “Bring it in. Calm down. Shhh… take a breath. Repeat after me: fuck Boston! […] We’re not gonna loose this fucking game! Get out there and kick their asses!”
F**K BOSTON
“Invisible Man” è una puntata vastissima, capace di approfondire parecchi temi senza mai essere superficiale. I Lakers sono in mano all’ex-professore Paul Westhead, improvvisamente head coach di una squadra di NBA come nel più classico esempio “alla Steven Bradbury“. Il problema è la totale mancanza di carisma che caratterizza il personaggio interpretato magnificamente da Jason Segel. La dirigenza si dà quindi come scadenza per valutare l’operato di Westhead tre gare, tutte in trasferta: Indiana, Detroit e Boston. Tre partite in tre città così simboliche per la storia dei Lakers e di Magic Johnson.
In Indiana arriva la prima sconfitta, in cui si accendono anche i fuochi d’artificio pronti a esplodere tra due giovani stelle. Infatti Indiana era stata la casa di Larry Bird fino a due anni prima, avendoci giocato a livello universitario. Magic e Bird erano rivali sin dai tempi delle high school, contendendosi il campionato di NCAA (il torneo universitario nazionale, competizione prestigiosissima) con le maglie di Michigan e, appunto, Indiana. Johnson guidò la squadra della sua città alla vittoria del titolo, come ricorda a un nervoso Bird prima dell’intervista pre-gara (“Still mad I see“).
Pat Riley: “Who even watches basketball on Christmas?”
ARRIVI IN PANCHINA
Westhead arriva al Garden, a Boston, con le speranze appese a un filo e una panchina che traballa vistosamente. Un campo tabù per qualsiasi squadra, descritto da Norm Nixon come una specie di posto infestato. Gli americani le chiamano sliding doors, momenti topici di un evento capaci di indirizzare la storia in una direzione o in un’altra. La gara tra Lakers e Celtics del 13 gennaio del 1980 è, per definizione, una sliding door. La squadra di Los Angeles acquista definitivamente consapevolezza nei propri mezzi e compie quella che era considerata un’impresa, espugnando il Garden.
In più, si aggiunge un’altra pedina: Pat Riley. L’ex-giocatore, interpretato da un eccezionale Adrien Brody, si accomoda in quest’episodio per la prima volta sulla panchina dei Lakers, in veste di assistente per uno sbandatissimo Paul Westhead. Sarà solo l’inizio di un lunghissimo matrimonio, quello tra i Lakers e Riley, che lo porterà ad essere uno dei più vincenti allenatori nella storia dell’NBA.
MONOPOLY
Dal lato meno sportivo e più umano della serie, invece, ci sono molti momenti più intimi, maggiormente dedicati allo sviluppo dei personaggi. È qui infatti la chiave del successo di Winning Time che, senza questo suo lato più umano, rappresenterebbe un vero e proprio documentario. Invece, ad esempio, c’è la sfida a Monopoly tra due personaggi molto competitivi: Jerry Buss e Jack McKinney. Il tycoon, colpito dalla prima persona capace di sconfiggerlo a una partita di Monopoly, decide di rinnovargli la fiducia, intravedendo dietro il corpo acciaccato di McKinney una fame da vincente.
Proseguendo, c’è spazio per la diagnosi della madre di Jerry Buss, Jessie: un cancro che farà spazio a Claire Rothman e il suo nuovo, vincente, piano finanziario. Spostandosi in Michigan, a Lansing, tutti i giocatori sono riuniti sotto il tetto di casa Johnson per il pranzo di Natale. È l’occasione per un toccante dialogo tra il padre di Magic, Earvin Sr., e Kareem Abdul-Jabbar, che probabilmente aprirà gli occhi al personaggio di Solomon Hughes. Earvin Jr. non è uno sprovveduto, nemmeno uno stupido, e la gioia che emana ad ogni sorriso potrebbe essere un dono.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Dopo qualche difficoltà i Lakers acquistano definitivamente consapevolezza nei propri mezzi, la squadra si cementifica e anche Kareem inizia ad apprezzare la spensieratezza di Magic. “Trust the process”.
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Giovane musicista e cineasta famoso tra le pareti di casa sua. Si sta addestrando nell'uso della Forza, ma in realtà gli basterebbe spostare un vaso come Massimo Troisi. Se volete farlo contento regalategli dei Lego, se volete farlo arrabbiare toccategli Sergio Leone. Inizia a recensire per dare sfogo alla sua valvola di critico, anche se nessuno glielo aveva chiesto.