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Forse la tematica dello spazio, le claustrofobiche riprese, il cast ed un fantomatico parassita spaziale hanno reso noi di RecenSerie (dove il noi è relativo ai pochi coraggiosi che hanno deciso di imbarcarsi nella visione di Origin) eccessivamente eccitati, come quando ad un bambino viene fatto vedere un nuovo giocattolo di cui presto o tardi inizierà ad annoiarsi. Ed i primi cedimenti verso la noia si sono già palesati e colpiscono duramente durante la visione di “Remember Me”.
La trama continua ad essere divisa in due tronconi: uno portato in scena tramite flashback, l’altro narra la storia nel presente.
Visto e considerato che sulla nave era presente un solo parassita, sarebbe stato quanto meno stupido far svanire la minaccia così, dopo solo quattro episodi. Ma forse, volendo analizzare il tutto e facendo un attimo della dietrologia, si potrebbe appuntare che magari la presenza del parassita potesse essere portata in scena a serie inoltrata, non fin dai primissimi minuti della serie. Tuttavia, in questo caso si tratterebbe molto probabilmente di tutt’altro prodotto e di tutt’altra storia. È corretto quindi fare i conti con ciò che la produzione decide di portare all’attenzione del pubblico: il ritorno del parassita che in fin dei conti non ha mai lasciato la nave, riuscendo a scappare da una stanza a tenuta stagna. Molto conveniente la presenza di una botola a soffitto. Come direbbe il buon Gianfelice Spagnagatti: “Ma che cazzo è, sta astronave è piena di botole!?”
Ed in effetti la scena fa storcere il naso.
Gli sceneggiatori hanno imparato la lezione, però: il parassita torna e sembra aver infettato un altro membro. La differenza? Ora chi è la persona infetta è un segreto. Ecco quindi che Origin si tramuta in una complicatissimo incrocio tra Dieci Piccoli Indiani e Cluedo, portando lo spettatore a dover carpire informazioni e dedurre chi tra i superstiti sia l’ospitante, potendosi appoggiare su l’unica vera debolezza fin qui palesatasi: chi ospita il parassita non ha più cognizione di chi è stato. L’unico problema è che i personaggi sono completi sconosciuti l’uno per l’altro. Ma è proprio in questo frangente che entra in gioco Lee, la persona che per motivi completamente casuali ed immotivati si porta sotto pelle una copia di ogni dato personale e sensibile dei partecipanti al progetto Thea. In barba a qualsiasi normativa della privacy, verrebbe da pensare.
Fino a questo punto della storia c’è sempre stato un certo white noise: possibile che, trattandosi questa di una serie ambientata in un futuro supertecnologico, non venisse minimamente citata e presa in considerazione la serie che più di tutte ha sdoganato la tematica della pericolosa deriva della tecnologia (Black Mirror)? Ebbene, “Remember Me”, anzi per essere più corretti il filone di trama basato sui flashback della puntata, altro non è che un richiamo ed una ricostruzione (molto abbozzata e sentimentalmente patetica) di “San Junipero”. Niente di più, niente di meno.
Lee, incapace di relazionarsi con un altro essere vivente e membro di una realtà storica che sembra essere più basata sulla realtà virtuale che altro, pare innamorarsi di una intelligenza artificiale da lei stessa manomessa e resa “più umana”. Anche questo aspetto risulta molto abbozzato e lo spettatore non viene dotato dei corretti strumenti per poter apprezzare totalmente l’opera. Risulta infatti esserci una distanza abissale tra la manomissione di Maeve in Westworld (e la capacità recitativa che rende credibile il cambiamento) rispetto a quello di Ayko. Ma è soprattutto una tematica tanto delicata come l’autodeterminazione delle macchine (debitamente affrontata in Westworld) a non venire minimamente presa in considerazione in “Remember Me” e forse si esagera pretendendo questo determinato tipo di analisi e riflessioni da un prodotto di questo genere. Tuttavia, quando ogni elemento viene a mancare e la visione dei circa cinquanta minuti di puntata risulta essere eterna, le imperfezioni risaltano ancora di più.
C’è molto lavoro da fare.
La trama continua ad essere divisa in due tronconi: uno portato in scena tramite flashback, l’altro narra la storia nel presente.
Visto e considerato che sulla nave era presente un solo parassita, sarebbe stato quanto meno stupido far svanire la minaccia così, dopo solo quattro episodi. Ma forse, volendo analizzare il tutto e facendo un attimo della dietrologia, si potrebbe appuntare che magari la presenza del parassita potesse essere portata in scena a serie inoltrata, non fin dai primissimi minuti della serie. Tuttavia, in questo caso si tratterebbe molto probabilmente di tutt’altro prodotto e di tutt’altra storia. È corretto quindi fare i conti con ciò che la produzione decide di portare all’attenzione del pubblico: il ritorno del parassita che in fin dei conti non ha mai lasciato la nave, riuscendo a scappare da una stanza a tenuta stagna. Molto conveniente la presenza di una botola a soffitto. Come direbbe il buon Gianfelice Spagnagatti: “Ma che cazzo è, sta astronave è piena di botole!?”
Ed in effetti la scena fa storcere il naso.
Gli sceneggiatori hanno imparato la lezione, però: il parassita torna e sembra aver infettato un altro membro. La differenza? Ora chi è la persona infetta è un segreto. Ecco quindi che Origin si tramuta in una complicatissimo incrocio tra Dieci Piccoli Indiani e Cluedo, portando lo spettatore a dover carpire informazioni e dedurre chi tra i superstiti sia l’ospitante, potendosi appoggiare su l’unica vera debolezza fin qui palesatasi: chi ospita il parassita non ha più cognizione di chi è stato. L’unico problema è che i personaggi sono completi sconosciuti l’uno per l’altro. Ma è proprio in questo frangente che entra in gioco Lee, la persona che per motivi completamente casuali ed immotivati si porta sotto pelle una copia di ogni dato personale e sensibile dei partecipanti al progetto Thea. In barba a qualsiasi normativa della privacy, verrebbe da pensare.
Fino a questo punto della storia c’è sempre stato un certo white noise: possibile che, trattandosi questa di una serie ambientata in un futuro supertecnologico, non venisse minimamente citata e presa in considerazione la serie che più di tutte ha sdoganato la tematica della pericolosa deriva della tecnologia (Black Mirror)? Ebbene, “Remember Me”, anzi per essere più corretti il filone di trama basato sui flashback della puntata, altro non è che un richiamo ed una ricostruzione (molto abbozzata e sentimentalmente patetica) di “San Junipero”. Niente di più, niente di meno.
Lee, incapace di relazionarsi con un altro essere vivente e membro di una realtà storica che sembra essere più basata sulla realtà virtuale che altro, pare innamorarsi di una intelligenza artificiale da lei stessa manomessa e resa “più umana”. Anche questo aspetto risulta molto abbozzato e lo spettatore non viene dotato dei corretti strumenti per poter apprezzare totalmente l’opera. Risulta infatti esserci una distanza abissale tra la manomissione di Maeve in Westworld (e la capacità recitativa che rende credibile il cambiamento) rispetto a quello di Ayko. Ma è soprattutto una tematica tanto delicata come l’autodeterminazione delle macchine (debitamente affrontata in Westworld) a non venire minimamente presa in considerazione in “Remember Me” e forse si esagera pretendendo questo determinato tipo di analisi e riflessioni da un prodotto di questo genere. Tuttavia, quando ogni elemento viene a mancare e la visione dei circa cinquanta minuti di puntata risulta essere eterna, le imperfezioni risaltano ancora di più.
C’è molto lavoro da fare.
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A metà stagione, “Remember Me” è l’episodio che nessuno vorrebbe mai vedere e che fa sorgere ulteriori dubbi sulla validità del prodotto Origin.
God’s Grandeur 1×04 | ND milioni – ND rating |
Remember Me 1×05 | ND milioni – ND rating |
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.