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Torna Doctor Who a distanza di un anno, dopo quello speciale datato 1 Gennaio 2019 che già aveva rappresentato la rottura di un rito consolidato come era lo speciale natalizio. Se allora, alla fine dell’undicesima stagione, si aveva assistito comunque ad un’avventura slegata, in questo caso viene addirittura a mancare lo speciale stesso, dirottando gli spettatori alla premiére della dodicesima stagione.
Rompendo la discontinuità dell’undicesima stagione, Chibnall mette in scena la prima parte di un doppio episodio, formula che mancava sugli schermi dall’ultima stagione con il Dottore interpretato da Peter Capaldi, dietro la penna di Steven Moffat.
Se nel recente passato poco si aveva avuto da ridire nei confronti dell’interpretazione di Jodie Whittaker (novità da un punto di vista di genere del personaggio ma che comunque a livello di recitazione richiamava a modelli già visti, Tennant su tutti), ciò che non aveva convinto troppo forse era stato l’approccio estremamente leggero di Chris Chibnall. Il neo-showrunner aveva voluto creare una frattura con lo stile pomposo e complesso del suo predecessore, proponendo avventure semplici, riponendo la vita quotidiana dei companion umani al centro delle scene. Logicamente tale proposito poteva essere quasi auspicabile, tuttavia il risultato finale è stato quello di un impoverimento della scrittura dei singoli episodi, con conseguente calo delle aspettative del pubblico. Semplificare e snellire non doveva per forza corrispondere con l’annullamento dell’intensità messa in scena nelle stagioni precedenti.
“Spyfall” in questo senso sembra avere un parziale ruolo rassicurante. Indubbiamente si sta pur sempre parlando della prima parte di una doppia avventura, tuttavia la sensazione di voler donare nuovamente epicità a Doctor Who fa capolino con una certa decisione.
La divisione scenica tra i personaggi principali funziona, non facendo pesare l’alto numero di compagni di viaggio della protagonista. Allo stesso modo il mistero riguardo le creature aliene è tenuto vivo in maniera efficace. Momenti (rari) di debolezza dell’episodio sono quelli in cui sembra affacciarsi una morale tra le righe, inserita nel contesto fantascientifico. La Vor, il personaggio di Barton e in generale i concetti di rete, social media e comunicazione del terzo millennio vengono trattati in maniera assai didascalica, e le stesse creature minacciose sembrano avere un’origine informatica o cibernetica. La seconda parte di episodio sarà pronta a smentire questa azzardata ipotesi.
Tolte queste considerazioni di rito, occorre affrontare il proverbiale elefante nella stanza: The Master. Non si può negare che, proprio per le aspettative che si riponevano in questo nuovo corso di Doctor Who, il colpo di scena sia stato assai efficace. Secco, crudo, quasi gratuito, ma senz’altro efficace. Inserire una figura così importante per la mitologia dello show a bruciapelo è senz’altro un toccasana per i fan, oltre che un incentivo a desiderare la prosecuzione della visione, desiderio che era ormai raffreddato per i motivi sopracitati.
Ci si chiederà: ma l’ultima incarnazione di The Master (Missy) non era stata accoltellata a morte dalla sua precedente incarnazione? Si spiegherà forse in che modo l’acerrimo nemico del Dottore è tornato? Ogni fan, compreso chi scrive, vorrebbe avere una delucidazione per poter mettere tutti i tasselli al loro posto. Tuttavia una serie di considerazioni, diegetiche ed extra, rendono giustificabile l’eventualità che Chibnall sorvoli questo aspetto.
Innanzitutto c’è da dire che la poetica fine già citata delle precedenti incarnazioni di The Master rappresentava anche la chiusura di un epoca di cui Steven Moffat, come sceneggiatore e showrunner, aveva fatto parte. Come si poteva anche ipotizzare all’epoca, era difficile pensare che venisse tolta la possibilità ad altri di scrivere del personaggio. Giusto quindi, da un punto di vista totalmente creativo e narrativo, che vi sia anche un inizio tutto nuovo. Da un altro punto di vista, interno alla mitologia dello show, occorre ricordare che da sempre The Master è riapparso senza dare spiegazioni se non il semplicissimo “I escaped”, come la serie classica insegna.
Chibnall ha diversi aspetti da lasciarsi perdonare, ma gli si deve riconoscere l’intenzione di riportare la serie su binari meno frivoli di quelli recenti. Tanto frivoli che c’era il rischio che si sminuisse la scelta sacrosanta e coraggiosa che lo stesso showrunner aveva compiuto, chiamando la bravissima Jodie Whittaker a vestire i prestigiosi panni del/della protagonista.
Rompendo la discontinuità dell’undicesima stagione, Chibnall mette in scena la prima parte di un doppio episodio, formula che mancava sugli schermi dall’ultima stagione con il Dottore interpretato da Peter Capaldi, dietro la penna di Steven Moffat.
Se nel recente passato poco si aveva avuto da ridire nei confronti dell’interpretazione di Jodie Whittaker (novità da un punto di vista di genere del personaggio ma che comunque a livello di recitazione richiamava a modelli già visti, Tennant su tutti), ciò che non aveva convinto troppo forse era stato l’approccio estremamente leggero di Chris Chibnall. Il neo-showrunner aveva voluto creare una frattura con lo stile pomposo e complesso del suo predecessore, proponendo avventure semplici, riponendo la vita quotidiana dei companion umani al centro delle scene. Logicamente tale proposito poteva essere quasi auspicabile, tuttavia il risultato finale è stato quello di un impoverimento della scrittura dei singoli episodi, con conseguente calo delle aspettative del pubblico. Semplificare e snellire non doveva per forza corrispondere con l’annullamento dell’intensità messa in scena nelle stagioni precedenti.
“Spyfall” in questo senso sembra avere un parziale ruolo rassicurante. Indubbiamente si sta pur sempre parlando della prima parte di una doppia avventura, tuttavia la sensazione di voler donare nuovamente epicità a Doctor Who fa capolino con una certa decisione.
La divisione scenica tra i personaggi principali funziona, non facendo pesare l’alto numero di compagni di viaggio della protagonista. Allo stesso modo il mistero riguardo le creature aliene è tenuto vivo in maniera efficace. Momenti (rari) di debolezza dell’episodio sono quelli in cui sembra affacciarsi una morale tra le righe, inserita nel contesto fantascientifico. La Vor, il personaggio di Barton e in generale i concetti di rete, social media e comunicazione del terzo millennio vengono trattati in maniera assai didascalica, e le stesse creature minacciose sembrano avere un’origine informatica o cibernetica. La seconda parte di episodio sarà pronta a smentire questa azzardata ipotesi.
Tolte queste considerazioni di rito, occorre affrontare il proverbiale elefante nella stanza: The Master. Non si può negare che, proprio per le aspettative che si riponevano in questo nuovo corso di Doctor Who, il colpo di scena sia stato assai efficace. Secco, crudo, quasi gratuito, ma senz’altro efficace. Inserire una figura così importante per la mitologia dello show a bruciapelo è senz’altro un toccasana per i fan, oltre che un incentivo a desiderare la prosecuzione della visione, desiderio che era ormai raffreddato per i motivi sopracitati.
Ci si chiederà: ma l’ultima incarnazione di The Master (Missy) non era stata accoltellata a morte dalla sua precedente incarnazione? Si spiegherà forse in che modo l’acerrimo nemico del Dottore è tornato? Ogni fan, compreso chi scrive, vorrebbe avere una delucidazione per poter mettere tutti i tasselli al loro posto. Tuttavia una serie di considerazioni, diegetiche ed extra, rendono giustificabile l’eventualità che Chibnall sorvoli questo aspetto.
Innanzitutto c’è da dire che la poetica fine già citata delle precedenti incarnazioni di The Master rappresentava anche la chiusura di un epoca di cui Steven Moffat, come sceneggiatore e showrunner, aveva fatto parte. Come si poteva anche ipotizzare all’epoca, era difficile pensare che venisse tolta la possibilità ad altri di scrivere del personaggio. Giusto quindi, da un punto di vista totalmente creativo e narrativo, che vi sia anche un inizio tutto nuovo. Da un altro punto di vista, interno alla mitologia dello show, occorre ricordare che da sempre The Master è riapparso senza dare spiegazioni se non il semplicissimo “I escaped”, come la serie classica insegna.
Chibnall ha diversi aspetti da lasciarsi perdonare, ma gli si deve riconoscere l’intenzione di riportare la serie su binari meno frivoli di quelli recenti. Tanto frivoli che c’era il rischio che si sminuisse la scelta sacrosanta e coraggiosa che lo stesso showrunner aveva compiuto, chiamando la bravissima Jodie Whittaker a vestire i prestigiosi panni del/della protagonista.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Tutto è ancora da dimostrare, ma per ora non si può non ringraziare Chibnall per l’impatto di questa nuova stagione.
New Year’s Day Special: Resolution | 5.15 milioni – ND rating |
Spyfall (Part 1) 12×01 | 4.88 milioni – ND rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.