John Kreese: “Sometimes the world can be cruel. And that’s why you have to learn to be cruel yourselves. Weakness is unacceptable.
The fight at the school was an embarrassment. You lost soldiers and you lost the battle. But you will not lose again.
Diaz was one of our own. What they did to him, they did to all of us. And it will not go unanswered.
We will show no mercy. We will show no weakness. We will strike back and we will strike hard! Is that clear?”
Students: “Yes, Sensei!”
Questo secondo episodio di Cobra Kai, dopo la conclusione a sorpresa del precedente, presenta due diversi scenari. Da una parte si ha un focus incentrato su John Kreese, sul suo passato e il suo presente; dall’altra, invece, lo sviluppo della rivalità tra i due storici nemici Johnny Lawrence e Daniel LaRusso.
BREVE STORIA DI UN PERDENTE
L’episodio si apre, dunque, con un ritorno al passato: San Fernando Valley, 1965. Un giovane John Kreese lavora come inserviente presso una tavola calda. La sua figura è molto lontana dall’immagine del duro che ostenta nel presente della narrazione dato che appare come un perdente, uno strambo, uno scherzo della natura, un uomo da circo. La distanza dai soldati del Vietnam è evidente, soprattutto per chi, come lo spettatore, conosce la storia successiva.
Le sequenze dedicate al passato di questo ambivalente personaggio mostrano il motivo per cui è diventato quel che è diventato, anche se risultano nel complesso poco originali. Cercare di spiegare quella rabbia interiore che spinge a far marcire e morire ogni giovane karateka che incontra è sicuramente compito arduo, ma gli autori potevano impegnarsi maggiormente per definire l’unico villain, se in questi termini può essere letto, della storia.
Lodevole è il tentativo di descrivere gli Stati Uniti e quella mentalità della bandiera stelle e strisce ma, oggettivamente, il tutto risulta troppo stucchevole e l’insieme dei luoghi comuni presentati fanno venire voglia solo di usare correttamente la ghigliottina e fumare un buon cubano, cosa che il personaggio in questione non fa.
È proprio la ghigliottina che dovrebbe rappresentare il tocco di originalità forse nella sua presentazione ma è qui che fallisce, in particolare nel suo utilizzo con il proprietario della casa di Tory. Di qualche interesse risulta solo la nuova prova di coraggio che cerca di far affrontare ai suoi ragazzi per creare un gruppo più forte e nel complesso eliminare coloro che avrebbero abbassato il livello del dojo.
Kreese sembra voler incattivire i ragazzi solo per il gusto di avere ragione, un potere da usare per scacciare la brutta sensazione di essere solo un moscerino, un essere davvero piccolo che si serve di una disciplina come il karate per i propri sporchi fini. Ciò non toglie un tratto di umanità mostrato con Tory. Rimane una visione distorta del bene e del male, pericolo enorme per ragazzi nel pieno dell’adolescenza e in cerca della loro identità, concetto ampiamente ripreso dal primo episodio in poi.
RIVALI PER LA VITA MA ANCHE UN PO’ TANGO E CASH
L’altro filone seguito dell’episodio è quello del contrasto tra i due protagonisti, ora insieme impegnati nella ricerca di Robby. Apprezzabili sono i momenti che li vedono in scena. William Zabka e Ralph Macchio interpretano bene i loro ruoli che sembrano diventare per qualche momento più tridimensionali. La serie purtroppo, però, soffre di eccessiva incoerenza che arriva all’assurdo come nel colloquio al Malibu Canyon Recovery dei due con Shannon, madre che, dopo l’abbandono della precedente stagione, continua a non assolvere al suo ruolo e a mostrarsi assente, preferendo seguire i consigli di un qualsiasi coach spirituale piuttosto che cercare il figlio, rifiutando quello che dovrebbe essere un naturale istinto materno. Le poche indicazioni che fornisce sono utili a Johnny e Daniel solo per litigare e arrivare a uno scontro fisico che in ogni caso non lascia del tutto indifferenti. Interessante risulta anche la corsa in auto. Dubbio rimane, invece, lo svolgimento successivo.
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Un episodio godibile che porta subito alla visione del successivo grazie anche alla sua limitata durata.
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La notte sognivaga passeggia nel cielo ed il gufo, che mai dice il vero, sussurra che sono in me draghi ch'infuocano approdi reali e assassini seriali, vaghi accenti d'odio feroce verso chiunque abbia una voce e un respiro di psicosfera che rende la mia indole quanto mai nera. Però sono simpatica, a volte.