La seconda stagione di American Horror Story sembra proprio essere partita con il piede giusto, superando già alcuni momenti non troppo brillanti della sua prima stagione. Il tema della puntata, ovvero quello della casa delle bambole, è abbastanza accattivante da essere stato utilizzato all’attuale Comic-Con di San Diego per creare una sorta di American Horror Stories Experience che consisteva in un labirinto percorribile e disseminato di bambole inquietanti in carne ed ossa.
Questa trovata pubblicitaria ha generato molta attesa nei fan del franchise proprio per la premiére della seconda stagione.
L’OMAGGIO A COVEN
“Dollhouse” vede come interprete del villain Denis O’Hare, già apparso in ordine in Murder House, Coven, Freak Show, Hotel, Roanoke e Double Feature. Inoltre, l’episodio è stato scritto da Manny Coto, sceneggiatore di quattro episodi precedenti di American Horror Stories e di alcuni di American Horror Story.
Se si aggiunge il rimando finale a Coven si ottiene il prodotto ben studiato e in pieno stile American Horror Story.
“Dollhouse” è ambientato nel 1961 a Matchez, Mississippi, dove Coby, giovane donna, si ritrova a concorrere ad un gioco macabro in una vera e propria casa di bambole a grandezza reale, ostaggio di un camaleontico O’Hare che ancora una volta risulta credibile in ruoli sempre diversissimi tra loro.
Quando nel finale le due streghe arrivano per condurre Coby all’Accademia di Miss Robichaux per giovani donne dotate, lei decide di portare con sé anche Otis, il figlio per il quale il padre aveva sequestrato tutte le donne. Per proteggere la sua identità, gli ordina di usare il suo secondo nome: Spalding.
Il finale di “Dollhouse” in realtà fa sì che l’apparizione di O’Hare nella serie spin-off significhi qualcosa, oltre a piazzare un volto familiare nella serie. Dato che O’Hare ha interpretato Spalding in Coven, la sua interpretazione del padre di Otis rende la decisione di includerlo in “Dollhouse” davvero geniale.
In Coven, Spalding era un servitore dell’accademia delle streghe e dopo essersi tagliato la lingua, era diventato un confidente riluttante degli orribili segreti di Fiona. L’ossessione di Spalding per le bambole è sempre stata peculiare ma, con l’intuizione fornita da “Dollhouse”, non è difficile vedere cosa lo abbia reso tale. Il suo rapporto con l’accademia e la sua implacabilità nel servire le donne diventa ancora più significativo attraverso il difficile rapporto con il padre e il peculiare legame materno con Coby.
UN’OTTIMA PREMIERE
Sebbene American Horror Stories sia pensato per essere uno spin-off della serie originale di Murphy, queste storie dell’orrore contenute hanno dimostrato di poter essere efficaci indipendentemente dal fatto che si leghino o meno alla serie originale. Non a caso, i migliori episodi della serie visti finora sono stati proprio quelli che hanno preso le distanze dalla serie originale.
Prima di assistere al finale, nulla infatti ha lasciato presagire che ci potesse essere un collegamento con la serie madre.
Il paragone all’incipit/finale della prima stagione è inevitabile: “Rubber (Wo)Man” avrebbe potuto essere più originale, anziché ricadere nei soliti cliché di Murder House. Ciò che “Dollhouse” fa di diverso è mantenere lo stile di American Horror Story ma senza ripetere una storia già vista, collegandosi poi sorprendentemente e coerentemente con uno dei personaggi più interessanti di Coven.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Anche se “Dollhouse” sembra correre troppo (forse ci sarebbe stato materiale per una stagione intera su questa storyline) in realtà è il perfetto esempio di come dovrebbero essere tutti gli episodi di questa serie spin-off: regalare storie originali con un piccolo rimando all’universo conosciuto da tutti i fan.
Se l’inizio è questo, ci si può solo augurare che la seconda stagione continui con questa marcia.
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.