Copenhagen Cowboy 1×02 – Vengeance Is My NameTEMPO DI LETTURA 3 min

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1x02 vengeance is my nameAl secondo episodio di questa miniserie, NWR (per gli “ignoranti” Nicolas Winding Refn) cala subito i suo assi ed offre alcune sequenze altamente memorabili.

MEGLIO FARE UNA PREMESSA


Chi ha letto la recensione del primo episodio sa già quanto sia complicato recensire una serie di questo regista, proprio per la sue caratteristiche (o sarebbe meglio dire ossessioni). Refn crede che la forma sia il contenuto dell’opera e tutti gli orpelli narrativi siano da eliminare lasciando il compito di narrare alle sole immagini, in grado di suscitare da sole tutte le emozioni che lo spettatore dovrebbe provare. Quindi dialoghi minimali e trame abbastanza banali compensate da immagini e sequenze spettacolari.
Come già detto, ci potrebbe fermare ore a godere delle sequenze nel ristorante cinese di questo episodio. O nella sequenza della fuga delle ragazze. O nell’incendio finale della casa.
Niente sembra sia girato a caso e anche le sequenze di passaggio servono a narrare qualcosa. Si pensi per esempio alla carrellata che lega il dialogo tra Andrè e sua figlia, mentre stabiliscono il matrimonio di lei con uno dei gallopini di Andrè. La stanza sembra ingigantirsi e le risposte attendono la progressione nello spazio fisico per essere date. In pratica lo spazio segna il tempo della narrazione, sottolineando come quel mondo, la mafia albanese di Copenhagen, viva in una dimensione parallela al mondo esterno di cui sostanzialmente non si ha ancora percezione concreta nella serie (o almeno non in maniera temporalmente rilevante).

LA SEQUENZA AL RISTORANTE CINESE


Se quindi non ha senso parlare troppo di cosa succede, con Refn si può anche dedicare spazio ad apprezzare come ce lo mostra. Nei classici topoi occidentali, la fuggitiva raggiunge un posto per nascondersi lungo la sua fuga. Qui di solito viene raggiunta dai suoi inseguitori e viene riportata nella sua prigione. Refn opta per farci vedere la reale portata dei suoi presunti poteri in una sequenza che mischia i quadri di Hopper e qualche suggestione biblica, ovviamente inondata di luci al neon. La “resurrezione” della neonata acquista una potenza narrativa senza che nessuno abbia bisogno di sottolinearla. Ogni cambio di stanza sembra restituire una profondità non solo dimensionale ma anche di senso, che si aggiunge a tutte le varie suggestioni ed emozioni di cui lo spettatore viene bombardato, nella solita, estraniante modalità del regista.
Quello che l‘immagine suscita (insieme alla musica) deve bastare a dare senso alla storia. Anche nel caso si stia dando da mangiare gli avanzi della giornata ai sempre presenti maiali. Chissà se queste insistite sequenze suine abbiano un significato ulteriore a quello finora rappresentato da alcuni personaggi (il tizio che uccide la ragazza fuggita nel primo episodio e il marito di Rosella).

NON E’ PER TUTTI


È importante ribadire che questo tipo di prodotti televisivi non è per tutti proprio perché non cerca di equilibrare i vari aspetti della narrazione convenzionale, ma sceglie di percorrerne alcuni più di altri, sapendo di poter essere respingente.
Va detto però che  in termini narrativi in questo episodio succedono molte cose rilevanti, anche in relazione al finale visto che Rosella sembra essere stata bruciata viva e la vendetta di Miu è iniziata.
Inoltre, in questo tipo di narrazione, risulta difficile prevedere cosa potrà succedere. La serie di Refn precedente insegna che le cose non vanno mai per come ci si aspetta ma possono prendere strane direzioni.
In quel caso, quello che era il protagonista ad un certo punto veniva ammazzato e l’attenzione si spostava verso altri personaggi, spiazzando lo spettatore e rimodulando anche il tono della narrazione. È un bel rischio da prendere considerando anche il poco “peso” che il regista danese attribuisce alla trama convenzionale.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Una serie esteticamente splendida…
  • …ma la pesantezza della narrazione la rende una prodotto di nicchia,  sicuramente non adatto al grande pubblico 

 

Visto che l’intera miniserie consta di soli 6 episodi, tutti i timori di perdersi nelle estetizzazioni di Refn dovrebbero essere ridimensionati (Too Old To Die Young era costituito da 10). Inoltre il finale dell’episodio da una bella spinta alla narrazione, suscitando nella spettatore la curiosità per proseguire nella visione della miniserie.

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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.

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