Nonostante la sorpresa finale, che toccando Mike da vicino, potrebbe avere conseguenze importanti per tutti i personaggi coinvolti dalle vicende di Mayor Of Kingstown, ancora una volta la trama non sembra particolarmente scossa. Il dialogo con Evelyn conferma che Mike dovrà fare ancora più fatica a riportare “equilibrio nella Forza” mentre all’interno del carcere gli episodi di violenza della scorsa puntata sembrano totalmente dimenticati.
Il settimo episodio di Mayor Of Kingstown, che insieme al precedente e al precedente, e al precedente, mette in scena la trama di quello che potrebbe essere un singolo episodio, conferma quindi quella sensazione di stasi della serie che non può che deludere chi aveva apprezzato la prima stagione, pur se con delle riserve dato che non era esente da difetti.
SIAMO TUTTI FIGLI DEL PADRINO PARTE I
“Home Sweet Home.”
“Oh shit.”
“It’s lock-up, Godfather style.”
“Goodfellas. It was Goodfellas. I youtubed it. They’re making, like, pasta sauce and shit, eating lobsters and steaks, and cutting garlic with razors…”
“That was The Godfather.”
“It was fucking Goodfellas. I looked it up.”
“I don’t think so.”
“Hey, fuck you. You wanna go back to your old cell? […] It was Goodfellas.”
Cercando qualcosa che risalti in positivo nell’episodio si può evidenziare l’omaggio a “Quei Bravi Ragazzi” (Goodfellas in inglese e sì, aveva ragione Carney), il celebre e iconico film di Martin Scorsese con Ray Liotta, Robert De Niro e Joe Pesci che, insieme a “Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno” del 1973 e “Casinò” del 1995 compone un’ideale trilogia sulla mafia italo-americana. La scena a cui si fa riferimento (e che, come ha fatto Carney, potete (ri)vedere su youtube) è la rappresentazione del potere dei gangster che si mantiene praticamente inalterato in prigione dove possono condurre una vita ben più leggera degli altri compagni di carcere, con cene a due portate, filetto, pasta al pomodoro e aragoste (il mix perfetto tra l’origine italiana e la contaminazione americana).
Il tema del parallelismo tra il potere in carcere e il potere fuori è sostanzialmente il tema centrale della serie creata da Sheridan, quindi scegliere proprio quella scena per omaggiare un capolavoro del cinema di genere ha la sua giusta ratio.
SIAMO TUTTI FIGLI DEL PADRINO PARTE II
Chiunque negli ultimi trent’anni abbia creato prodotti polizieschi del genere mobster deve molto a quell’immaginario del crimine creato tra gli anni ’70 e ’90 da grandi maestri del cinema: Francis Ford Coppola con “Il Padrino” (1972), Brian De Palma con “Scarface” (1983) e “Gli Intoccabili” (1987), Sergio Leone con “C’era Una Volta In America” (1984). Come è noto, anche i veri criminali si sono rifatti alla narrazione e all’estetica di quel mondo (dalle ville dei Casanova in stile Tony Montana ai poster de Il Padrino in casa di Matteo Messina Denaro). E anche prodotti seriali che hanno fatto la storia di questo genere hanno dato rappresentazione di questa tradizione: ne “I Soprano“, per esempio, il personaggio di Silvio Dante è apprezzatissimo dai suoi compagni di gang per l’imitazione di Al Pacino ne Il Padrino.
Anche se The Mayor Of Kingstown non vede la mafia italo-americana all’opera, molti dei suoi “principi” sembrano valere anche per gang di altre estrazioni socio-culturali. Così Regina Corrado, sceneggiatrice dell’episodio, coglie l’occasione di fare un tributo a quella narrazione che ha creato un tal fenomeno di emulazione. Tanto che non si limita alla scelta di far finire Bunny e Raphael in una situazione che richiamasse proprio quella di “Quei Bravi Ragazzi”, ma si fa un riferimento esplicito alla scena con le due fazioni (teoricamente) opposte di carceriere e carcerato che dimostrano di avere gli stessi riferimenti culturali.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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C’è poco da dire quando in un’intera puntata si ricorda una sola scena e questa scena è un omaggio a qualcos’altro. Tutto troppo fermo in Mayor Of Kingstown.
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