“Eleven thousand dead. And do you know where your old man was on that day? He was on that Borg cube, setting the world on fire! Forget about all that weird shit on the Stargazer. The real Borg are still out there, and they have a name for you: Locutus of Borg. The only Borg so deadly they gave him a goddamn name.”
“Seventeen Seconds” si era concluso nel peggiore dei modi: un’astronave alla deriva nel cosmo, il suo equipaggio apparentemente spacciato e Picard accusato di essere l’unico responsabile. L’allontanamento dal ponte di comando ordinato da Riker pesa come un macigno, ma com’è prevedibile con “No Win Scenario” arrivano i chiarimenti, le riappacificazioni e l’ovvia salvezza degli eroi. Adrenalina, tensione, nostalgia e psicologia dei personaggi sono quasi perfettamente bilanciati in un episodio che fa respirare le vecchie atmosfere della saga senza rinunciare a sequenze più movimentate. E poi manca Raffi, e già questo è un bene.
ALLA DERIVA NELLO SPAZIO
Le leggi non scritte della narrativa ci dicono che i protagonisti quasi mai muoiono, almeno mentre la loro storia è in corso. Quindi è impossibile temere davvero per la sopravvivenza di Picard, Riker, Jack, Sette e gli altri imbarcati sulla USS Titan. L’apprensione c’è, è normale, unita alla curiosità di scoprire come i nostri eroi si salveranno da una situazione apparentemente irrecuperabile. Eppure tutto ciò passa in secondo piano grazie alla scrittura dei dialoghi e delle interazioni tra i personaggi, il vero fulcro della puntata.
“No Win Scenario” regala confronti davvero gustosi. Uno su di tutti quello tra Jack e Shaw, che rievoca una delle pagine più buie nella storia della Federazione: la battaglia di Wolf 359. Il racconto del capitano permette di chiarire i motivi del suo astio verso Picard, già palpabile nel primo episodio, ma soprattutto riporta sulla scena ancora una volta Locutus, una delle pagine meno edificanti nella biografia dell’ammiraglio.
Spiace invece vedere come la crisi fra Riker e Picard si sia risolta troppo in fretta. Certo, nessuno si aspettava dieci episodi di silenzi fra i due con una riappacificazione tardiva nel finale di serie; ma avendo chiuso l’episodio precedente con l’ordine perentorio di allontanare Picard dal ponte di comando, si carica la narrazione di aspettative e attese che poi vanno soddisfatte. E che qui non lo sono state minimamente.
NON E’ FACILE ESSERE PADRI
Sempre parlando di Picard e Riker, la delusione per il loro riavvicinamento subitaneo è comunque controbilanciata dal dialogo fra i due su un tema che sembra essere il leitmotiv dell’intera stagione: la paternità.
Riker è l’uomo che la paternità l’ha conosciuta bene, nei suoi aspetti lieti ma anche in quelli peggiori. La morte di Thaddeus è uno spettro che continua ad aleggiare sul suo animo, avvelenando persino i rapporti con la moglie. Ma gli ha anche dato la saggezza necessaria a consigliare a Picard di approfittare del poco tempo che resta alla USS Titan per tentare un chiarimento con Jack.
Picard, invece, è l’uomo che la paternità l’ha scoperta solo in tarda età. In parte per colpa sua, in parte perché altri hanno deciso per lui di negargliela. Il confronto con Beverly è emotivamente molto forte proprio perché giocato tutto sul rimpianto e sulla rabbia del vecchio ammiraglio di non aver saputo per anni di avere un figlio, a causa della scelta di sua madre. Scelta che sarebbe troppo facile liquidare come egoista: come spiega proprio Beverly, essere figli di Picard significa avere un grosso bersaglio sulla schiena, e dietro la sua decisione potrebbe nascondersi anche il semplice istinto materno di proteggere il proprio figlio. Il resto l’ha fatto Jack, scegliendo di non incontrare mai suo padre.
Il confronto tra Picard e Jack è un altro bel pezzo di scrittura. L’ammiraglio tenta di “attaccar bottone” raccontando la sua avventura di gioventù con Jack R. Crusher: la stessa che, come ci mostra un flashback ambientato cinque anni, ha usato per intrattenere un gruppo di giovani ammiratori. Ma se con questi ultimi la parlantina di Picard ha funzionato, con Jack sulla USS Titan non sembra sortire lo stesso effetto, quasi a voler simboleggiare che tra padre e figlio c’è un abisso troppo grande da colmare. Per adesso, almeno.
NOSTALGIA CANAGLIA
Parallelamente alle vicende di Picard, Riker, Jack e Beverly, “No Win Scenario” racconta la caccia al Cambiante infiltratosi a bordo della USS Titan da parte di Sette di Nove, con l’inedita complicità del capitano Shaw, che continua a dimostrarsi un personaggio ben più sfaccettato di quanto sembrasse all’inizio.
Purtroppo, proprio la sottotrama del Cambiante mostra quello che è uno dei maggiori problemi di Picard e in generale delle nuove serie Star Trek: la dipendenza eccessiva, smisurata dal fanservice e dalla rievocazione delle opere passate. La caccia al Cambiante, infatti, ricalca quasi perfettamente l’episodio “The Adversary” che chiudeva la terza stagione di Deep Space Nine. Non solo riprende lo spunto di trama, ma persino le soluzioni narrative. Anche le peggiori, al solo scopo di far balzare dal divano lo spettatore per urlare ‘Guarda, questa cosa cita l’episodio X della stagione Y della serie Z!’.
In un’ottica meno idealistica e più pragmatica, questi sotterfugi sono comprensibili: bisogna accalappiare i vecchi fan, farli sentire a casa, magari rassicurarli dopo tutti gli stravolgimenti e le innovazioni sfrenate di Discovery. Ma il risultato, come avvenne già nella scorsa stagione di Picard, rischia di risultare indigesto a tutti: ai vecchi fan che vorrebbero qualcosa di fresco-ma-non-troppo e alle nuove leve che di fronte a soluzioni narrative vecchie di decenni potrebbero storcere il naso.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Niente Raffi, dialoghi scritti magnificamente, il giusto mix di azione, tensione e introspezione: “No Win Scenario” sarebbe un episodio perfetto, se metà della sua trama non scimmiottasse qualcosa di già visto in Deep Space Nine. Triste lavoro quello di Picard, che deve rassicurare i vecchi fan senza però copiare troppo dal passato.
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.