Dopo due stagioni partite fortissimo e finite piuttosto malaccio c’è da alzarsi in piedi per una doverosa standing ovation a Kurtzman, Goldsman e soci. Gli autori di Picard stanno infatti riuscendo in una missione pericolosissima, dove il “rischio Kenobi” era altissimo, nel fare ciò che il franchise di Star Wars non è riuscito pienamente a fare con i suoi personaggi storici. Jean-Luc e i suoi storici colleghi stanno infatti ricevendo la più che dignitosa uscita di scena, nelle vesti dei salvatori della Federazione proprio nel momento più buio.
La minaccia non è mai stata così grande in una terza stagione che ha fatto delle sterzate, dei colpi di scena e dei cambi di status quo il suo più grande punto di forza. Forse l’uso del cliffhanger era stato un po’ abusato, ma alla fine tutto ha remato in un unica direzione. Una direzione che ha portato lo spettatore a scoprire la vera minaccia solo ad un passo dal gran finale. E per l’occasione non potevano che tornare in scena i nemici più temibili che la Federazione abbia mai affrontato: i Borg.
… E ALLA FINE ARRIVANO I BORG
Con l’uscita di scena di Vadic poteva forse pesare, per questo sprint finale, l’assenza di una villain valida e ben caratterizzata. Tuttavia nulla di ciò accade dal momento in cui viene rivelato che Jack Crusher è (anche) un Borg. L’arma che volevano utilizzare i Cambianti era in realtà la più grande arma dormiente nelle mani del pericolosissimo popolo Borg. Un piano a lungo termine, ben 35 anni, anche abbastanza complesso, che prevedeva l’insinuamento dei Cambianti all’interno della Federazione per destabilizzare l’ambiente dall’interno oltre che installare su ogni astronave della Flotta il genoma di Jean-Luc Picard. Un escamotage che rappresenta tutte le debolezze di un sistema centralizzato, interconnesso, nuovo, contro il caro vecchio sistema analogico.
Ecco che tutti i cerchi si chiudono, l’assalto al vecchio involucro biologico di Picard, la tanto discussa sindrome irumodica, le visioni di Jack ed i suoi misteriosi poteri. Ciò che era stata erroneamente diagnosticata come sindrome irumodica era infatti un “seme” Borg impiantato sin dai tempi di “The Best Of Both Words“. La narrazione ritorna infatti inevitabilmente (ancora una volta) a quel piccolo capolavoro di doppio episodio di The Next Generation. Un piano subdolo e sottile quello messo in atto dai Borg: il genoma Borg di Picard è ormai presente su ogni sistema di teletrasporto di tutte le navi stellari della Flotta, assimilando silenziosamente tutti gli ufficiali inferiori ai 25 anni, per uno scontro generazionale che è ormai diventata una battaglia per la Terra.
NB: in questa linea temporale la Regina dei Borg non ha le sembianze della dottoressa Agnes Giurati; gli eventi che coinvolgono i Borg narrati nella scorsa stagione avvengono in un’altra timeline.
FUGA DALLA TITAN
L’assimilazione mostra i suoi effetti nel momento in cui Jack fugge (anche troppo facilmente) dalla Titan. Lo scenario è drammatico e inquietante con i protagonisti che si trovano ad affrontare amici e parenti a bordo ormai divenuti a tutti gli effetti dei Borg, anche senza impianti cibernetici visibili dall’esterno. In particolare il pensiero va al povero Geordi La Forge, che ha di fatto perso ben due figlie ormai al servizio della collettività. Non c’è altra scelta che fuggire da quello che è ormai diventato un vascello Borg, coordinato con l’intera flotta di vascelli stellari ed in rotta per attaccare la Terra, ed a farne le spese nella colluttazione è il capitano Shaw.
Dopo Vadic ecco che Picard perde il secondo ottimo personaggio introdotto in questa terza stagione, che finisce per completare il suo arco narrativo con un bellissimo atto di sacrificio. Proprio colui che era stato presentato come un capitano anomalo dagli standard abituali: codardo, indifferente ad aiutare il prossimo, interessato solo a preservare il proprio orticello, in totale dissonanza con l’iconografia classica del capitano avventuroso à la James Kirk. Ed invece proprio ad un passo dalla fine Shaw concede a Jean-Luc, Data, Riker e gli altri la possibilità di scappare per poter mettere in atto un’ultima disperata controffensiva. Una bellissima redenzione, per il personaggio di Todd Stashwick, coronata dal passaggio di consegne al suo comandante Sette di Nove, finalmente rispettoso della sua natura di Borg.
Jean-Luc Picard: “Computer, initiate system reactivation procedures.”
Enterprise Computer: “Authorization acknowledged. USS Enterprise now under command of Captain Jean-Luc Picard.”
Jean-Luc Picard: “Well, I hereby accept the field demotion.”
RITORNO ALL’ANALOGICO
Era stata teaserata. Qualche spettatore l’aveva intuito. Non poteva esserci un finale, una reunion, senza la USS Enterprise D. Qualcuno dirà fanservice, ma invece la scrittura ha saputo invece ben indirizzare la narrazione verso una direzione che ha regalato al vecchio equipaggio di TNG l’onere di dover salvare le sorti della Federazione per un’ultima volta, a bordo di una nave stellare ormai vecchia e obsoleta, scollegata dal sistema, come la cara Enterprise D. Lo storico vascello della serie degli anni ’90 era infatti andato distrutto nel film Generazioni. Una mossa semplice, ma costruita con criterio, che riesce ad ottenere gli effetti sperati, scaldando il cuore dello spettatore nel rivedere la vecchia plancia di mille avventure.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Non sarà certo una piccola forzatura narrativa e un ultimo richiamo a “The Best Of Both Words” a penalizzare dal massimo dei voti un episodio completo, coerente con la storia che racconta e allo stesso tempo rispettoso del franchise di appartenenza.
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Giovane musicista e cineasta famoso tra le pareti di casa sua. Si sta addestrando nell'uso della Forza, ma in realtà gli basterebbe spostare un vaso come Massimo Troisi. Se volete farlo contento regalategli dei Lego, se volete farlo arrabbiare toccategli Sergio Leone. Inizia a recensire per dare sfogo alla sua valvola di critico, anche se nessuno glielo aveva chiesto.