Prima di iniziare questa recensione bisogna partire da una nota personale: chi scrive queste righe non ha tutta la mitologia di Tolkien alle spalle e non ha nemmeno alcuna conoscenza circa storyline cambiate o personaggi adattati per il fabbisogno di sceneggiatori pigri. Chi scrive è una persona normale che guarda lo show nonostante una prima stagione altamente discutibile, noiosa, recitata non benissimo ma con una CGI e un’ambizione alle spalle decisamente buone.
Ecco, tralasciando la CGI (oggettivamente buona ma che rispetta anche le aspettative visto e considerato il budget, le ambientazioni e la trama in sè), bisogna fermarsi a parlare dell’ambizione dei due novelli showrunner (J.D. Payne e Patrick McKay), un’ambizione che è composta da tre elementi: il tentativo di rendere omaggio all’opera di Tolkien, il tentativo di giustificare i costi abnormi di questa serie tv e il tentativo di farsi un nome grazie a questa serie tv (che è la loro prima). Dopo una disastrosa prima stagione che ha sicuramente decimato gli spettatori, questa seconda stagione è arrivata con l’incarico di far cambiare l’idea a tutti, dimostrando che si è imparato da i tantissimi errori commessi in precedenza e con il compito (non da poco) di far cambiare idea ai fan.
Sotto queste premesse il rilascio dei primi tre episodi ha ovviamente una valenza multipla perché deve convincere gli spettatori disillusi di aver svoltato pagina e deve fondamentalmente cambiare ritmo e qualità, quindi più scontri, più trama ed una narrazione che deve avvicinarsi ai nuovi anni ’20 piuttosto che ai ’00. Sembrava che la strada intrapresa con la 2×01 e 2×02 fosse tutto sommato in crescita (nonostante le nostre recensioni esprima un certo disappunto), ma poi è arrivata questa “The Eagle And The Scepter” a riportare tutti con i piedi per terra: i due showrunner non hanno ancora perso il vizio di fare cazzate.
GLI ANELLI DELLA SCENEGGIATURA MEDIOCRE
Per recensire questo episodio bisogna analizzare pezzo per pezzo perchè è palese che ci sia stato un miglioramento almeno dal punto di vista della gestione delle trame ma non si può pensare che quanto mostrato nell’ora abbondante di questo episodio possa in alcun modo soddisfare lo spettatore.
In un breve riassunto della trama di questo terzo episodio si può elencare così i progressi fatti:
- l’episodio si apre come una puntata di un documentario a caso di National Geographic con un cavallo che corre, scalcia orchi, va alla ricerca del suo padrone (un dimenticato e dimenticabile Isildur) e poi viene rapito dagli uomini di Adar che non hanno niente di meglio da fare
- si prosegue poi con il ritorno di Arondir, completamente lasciato nel dimenticatoio finora (cosa che a parer di chi scrive è un errore ma ok…), che salva casualmente Isildur perché si trovava nel posto giusto al momento giusto e poi prova a fare la figura paterno di Theo che però lo tratta a pesci in faccia perché questa sembrava evidentemente la scelta migliore dal punto di vista degli sciattissimi sceneggiatori
- chi prova a tenere alta l’asticella sono Celebrimor, Sauron/Attar e padre e figlio Durin, tutti impegnati a forgiare anelli, chiedere scusa e, fondamentalmente, portare avanti la trama in una fin troppo rapida concatenazione di eventi che porta Durin dall’affermare che non sarebbe mai più stato nella stessa stanza del padre al chiedergli scusa, il tutto in un paio di scene che non giustificano in alcun modo qualsiasi processo mentale sia stato svolto off-screen, perché è accaduto off-screen e nessuno vi ha potuto assistervi. Ennesima riprova di una sceneggiatura scritta un po’ a cazzo di cane, questa volta firmata da Helen Shang e con addirittura due misconosciuti registi a dargli vita (Louise Hopper e Charlotte Brandstrom).
- Isildur sfortunatamente riapre un’antica ferita che si pensava fosse guarita grazie al cosiddetto” dimenticatoio” ed invece non è questo il caso visto che il focus si sposta nuovamente su Númenor e sulle sue trame politiche di corte che vorrebbero veramente tanto essere al livello di Game Of Thrones o House Of The Dragon ma non lo sono minimamente.
THEO CHI?
Bisogna soffermarsi poi doverosamente sulla porzione di trama relativa ad Arondir, Isindur e soprattutto Theo perchè è una bella doccia fresca per chiunque pensasse che questa stagione fosse sui binari giusti.
Al di là del fatto che non c’è nessuno che renda giustizia alla parola “attore” perché tra Theo e Isindur c’è letteralmente da strapparsi occhi e orecchie di dosso, a peggiorare il tutto c’è la trama che è completamente senza senso ed è supportata da dialoghi banali che non si possono più sentire nel 2024. Theo, magari anche giustamente incazzato con Arondir perché non è riuscito a salvare sua madre, prima lo insulta dicendogli di non volerlo più vedere visto che non è suo padre (e questo è anche accettabile) ma poi va ad aiutare Isindur nel cuore della notte per riprendersi questo stramaledetto cavallo che, da inizio episodio, probabilmente ha percorso centinaia di km off-screen.
La qualità della sceneggiatura di Helen Shang però emerge in tutta la sua maestosità quando Isindur prende il cavallo e se ne va, fregandosene altamente di Theo che fa da esca agli uomini di Adar, tutta una serie di scelte veramente difficili da concepire e da giustificare. Oltre al fatto che non c’è assolutamente alcun tipo di empatia tra spettatore, Isindur e soprattutto il monoespressivo Theo, Theo che così ad occhio sfortunatamente sarà una nuova palla al piede fino alla fine della serie.
CERCASI SCENEGGIATURA SENZA DEUS EX MACHINA
Fatta questa doverosa lista della spesa a base di cavalli, aquile giganti, ragazzi frignoni e attori cani, viene veramente da domandarsi cosa passi nella mente di Payne e McKay per riportare Númenor al centro della narrazione visto che è palesemente la peggior sottotrama disponibile. E questo non è solo dovuto alla distanza che separa la città dalla Terra Di Mezzo ma è anche, se non soprattutto, dovuto al misero risultato che è stato mostrato.
Dal punto di vista di una persona che non ha tutta questa conoscenza della mitologia di Tolkien (che probabilmente è una caratteristica in comune con la maggioranza del pubblico), Miriel che perde il trono per via di un magheggio a corte può anche starci ma il fatto che poi arrivi un’aquila gigante (sinonimo di un deus ex machina totalmente casuale) e qualcuno inneggi a Pharâzon che passa casualmente vicino all’aquila è la rappresentazione perfetta di questo episodio (e anche della serie): mediocrità.
E se una persona della plebe non avesse inneggiato a Pharâzon si avrebbe avuto lo stesso un cambio del regnante?
E se l’aquila gigante si fosse appollaiata da qualche altra parte invece che arrivare totalmente a caso, Miriel sarebbe rimasta sul trono?
Ma cosa gliene frega al pubblico di quello che accade a Númenor?
Tutte domande a cui risponderà il prossimo deus ex machina targato Payne e McKay.
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Abbandonate ogni speranza o voi che entrate.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.