Dopo un primo episodio di stagione utile a ripresentare i personaggi e il contesto narrativo del XXXII secolo, oltre che a presentare il nuovo grande pericolo da affrontare, Star Trek: Discovery prosegue la sua corsa cercando di bilanciare le sue due anime.
Da una parte troviamo un episodio, “Anomaly”, che porta avanti la trama orizzontale; dall’altro, “Choose To Life” ritorna alla forma di narrazione più tipica della saga, quella dell’episodio autoconclusivo, seppur con qualche aggancio al filone narrativo principale. Qualcosa funziona, qualcos’altro no. Ma andiamo per gradi.
NUOVE MINACCE E VECCHI SCHEMI
L’anomalia è, per il momento, un nemico senza volto né anima. Il suo immane potere, la sua natura al di là della comprensione umana, la sua origine misteriosa impediscono di metterla bene a fuoco. E’ una catastrofe che incombe sulle teste dell’intera Federazione e degli eroi della Discovery ma che, proprio per queste sue caratteristiche, non ha ancora nulla della concretezza dei Klingon o della Catena di Smeraldo delle passate stagioni. Semmai ricorda il Controllo, l’intelligenza artificiale della seconda stagione.
Questo di per sé non è un male. Star Trek: Discovery, dopotutto, è una serie televisiva, quindi ha tutti gli episodi che servono per sviluppare poco a poco la nuova minaccia e svelarne la natura, che quasi sicuramente non sarà solo naturale (nonostante tutte le supercazzole astrofisiche sparate da Stamets e gli altri cervelloni nei due episodi).
Il vero problema è che ancora una volta viene proposta la situazione della minaccia catastrofica à la Emmerich contro cui solo l’equipaggio della Discovery può porre rimedio. E’ uno schema narrativo che inizia a mostrare criticità se ripetuto più volte, seppur a stagioni di distanza, e se usato solo per far risaltare il tronfio eroismo della ciurma meno carismatica di tutta la storia di Star Trek. Ma si può concedere il beneficio del dubbio e aspettare speranzosi che la scrittura dei prossimi episodi movimenti le cose.
LA POLITICA E IL DRAMMONE SENTIMENTALE
Ben più interessante è lo spunto alla base di “Choose to Live”: la caccia a J’Vini, membro dissidente dell’ordine vulcaniano delle Bene Gesserit Qowat Milat, che dietro le proprie azioni apparentemente spietate nasconde motivazioni piuttosto nobili. Per la sua cattura si rende necessaria una collaborazione tra la Federazione e Ni’Var, l’ex-Vulcano che sta valutando di uscire dal proprio isolamento.
La vicenda getta le basi per interessanti sviluppi politici e, nella conclusione dell’episodio, permette di mostrare come la giustizia venga spesso messa da parte in favore di altri interessi (in questo caso, favorire i buoni rapporti tra la Federazione e i Vulcaniani).
Peccato che tutto ciò venga annacquato dal solito drammone sentimentale, perché la missione per catturare J’Vini coinvolge la solita Michael Burnham e sua madre che, ricordiamo, è entrata nell’ordine delle Qowat Milat dopo essere finita nel XXXII secolo. Vengono riportate a galla vecchie incomprensioni tra genitore e figlia, prevedibilmente ricomposte e risolte nel corso di una puntata che perde presto il suo mordente.
LA FORZA DELLE EMOZIONI (CHE PERO’ INIZIANO A STANCARE)
Ovviamente, Burnham non è la sola al centro dell’attenzione. Gli sceneggiatori di Star Trek: Discovery si ricordano, ogni tanto, di avere anche altri personaggi da portare avanti e in questi due episodi hanno cercato di scrivere per loro storylines all’altezza. Non ci sono sempre riusciti, ma ci hanno provato.
Manca di mordente, ad esempio, l’intera vicenda di Adira e Gray, con quest’ultimo impegnato a riprendere forma fisica in un corpo artificiale. Al di là degli inevitabili rimandi alla serie Picard, dove pure gli androidi e le ricerche del dottor Soong hanno avuto un ruolo importante, questa sottotrama paga lo scotto di richiamare troppo la storia di Stamets e del dottor Culber, né il rischio che Gray si “perda” e non riesca a prendere possesso del nuovo corpo riesce a essere davvero credibile, perché lo spettatore sa che tutto si concluderà per il meglio.
Più interessanti sono le dinamiche che si innescano nell’inedita coppia Stamets-Book, impegnata dapprima a raccogliere dati sull’anomalia, poi a portarli all’attenzione degli scienziati vulcaniani. Anche qui il sentimentalismo spicciolo la fa da padrona e non mancano momenti eccessivamente strappalacrime, ma l‘interazione fra due caratteri così diversi, anzi diametralmente opposti, regala un po’ di pepe ai due episodi.
Risulta gradevole anche il ritorno di Saru, che abbandona il pianeta natale Kaminar per tornare al servizio della Flotta Stellare e soprattutto della sceneggiatura. Il suo personaggio ha ormai concluso il percorso che l’ha portato da alieno timorato e pieno di paure a individuo forte, sicuro delle proprie capacità e del proprio ruolo. Adesso è più una guida saggia e autorevole, che dispensa perle di saggezza agli altri comprimari e rassicura gli spettatori con i suoi modi da caro amico di vecchia data.
Nel complesso, sembrano più riusciti quei personaggi che hanno raggiunto un loro equilibrio e non devono costantemente piangersi addosso o dar vita a situazioni melodrammatiche, che vorrebbero commuovere ma finiscono per infastidire. E fra questi c’è anche il nuovo capitano.
CAPITAN MICHAEL BURNHAM: PROMOSSA O BOCCIATA?
Michael Burnham non è mai stato un bel personaggio, inutile negarlo. Problemi di scrittura, di sceneggiatura, di dialoghi e, dulcis in fondo, di recitazione l’hanno resa senza ombra di dubbio la protagonista di una serie Trek più odiata dal fandom. Per tre stagioni la si è vista fare di testa propria, disobbedire agli ordini, sfidare i suoi superiori, e tuttavia ha sempre avuto fortuna, scalando la gerarchia.
Con la nomina a capitano della USS-Discovery era lecito aspettarsi un miglioramento, che purtroppo non è ancora arrivato. Michael continua a essere la figura supponente, arrogante, irritante (e mille altri aggettivi poco carini in -nte) del passato, con l’aggravante che adesso le sue paturnie e i suoi colpi di testa hanno un peso maggiore, essendo al comando di una nave. E non bastano i drammi interiori provocati dal coinvolgimento sulla scena del suo nuovo fidanzato o della madre ritrovata per renderla una figura tridimensionale.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Star Trek: Discovery si impegna a migliorare e lasciarsi alle spalle gli errori del passato, ma continua a ripeterne alcuni. E arrivati alla quarta stagione, l’indulgenza degli spettatori comincia a farsi sempre più fievole. Sia chiaro, non mancano segnali di miglioramento; ma toccherà a una scrittura di buon livello farli germogliare e non lasciarli morire, come è accaduto troppe volte in passato.
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.