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“You know what they’re doing inside, right?”
“What do you think they’re doin.’“
“Connivin’ against our asses.“
“Yeah.“
“Scratch a bitch, uncover a conspiracy.“
La quarta stagione di Masters of Sex, prodotta dalla “concorrente” di HBO, Showtime, si chiudeva esattamente sul tramonto degli anni ’60, dominati dalla nascita della cosiddetta rivoluzione sessuale. In un discorso di continuità, allora, può essere interessante notare come The Deuce, invece, parta proprio dal periodo immediatamente successivo ai fatti raccontati da Michelle Ashford, come se David Simon volesse in qualche modo mostrare l’altro lato della medaglia dell’apertura mentale della società americana rispetto al sesso. Ecco arrivare, quindi, da un lato l’ascesa dell’industria pornografica, sempre più potente e ricca, ma soprattutto legittima, almeno giuridicamente; dall’altro la crescita del pensiero femminista, già ben avviata dalle singole azioni delle protagoniste della serie Showtime, pronta a diventare un vero movimento collettivo in quella HBO.
Sempre a proposito di confronti tra serie diverse, la scena che chiude “There’s An Art To This”, che vede Abby protagonista, come anticipato rappresenta un elemento di continuità con la prima stagione, rappresentando anche la più grande differenza col lavoro più celebre e osannato dell’autore David Simon, ossia The Wire. Se in quel caso, infatti, Baltimora era il vero fulcro della narrazione, attorno alla quale ruotavano personaggi spesso diversi con differenti macro-storyline per ogni stagione, qui la Deuce, pur mantenendo comunque il medesimo ruolo centrale, tende ad apparire decisamente più statica nel complesso, assumendo quasi la funzione di pretesto per raccontare la macro-storia americana. Stavolta Simon, per intenderci, sembra molto più interessato all’evoluzione del costume statunitense, probabilmente proprio perché più “libero” temporalmente, vedi il salto di ben cinque anni tra una stagione e l’altra.
Naturalmente, come detto, la continuità narrativa, per una penna tanto abile ed esperta come quella dell’ex-giornalista americano, non viene mai abbandonata, piuttosto viene utilizzata ancor più fortemente per raccontare il segno dei tempi. Ne è la prova la scena che apre “There’s An Art To This”, ossia quel tentativo (fallito) di adescamento del pappone alla nuova arrivata nella “big city”. Una scena che fa verso direttamente alla prima scena del “Pilot“, ma se in quel caso si vedeva C.C. avere successo con Lori, qui (come sottolineato dalla stessa Lori, non a caso, successivamente) la ragazza ha già le idee ben chiare su dove andare, senza bisogno di intermediari. A questo punto non si più non ricordare quanto profetizzato in questi lidi già dalla scorsa con stagione (1×06, “Why Me?“) riguardo la futura fine del potere dei papponi, o almeno così come viene mostrato ad inizio serie.
La riflessione di Lori a C.C., la quale, tra le righe, nasconde proprio la volontà di liberarsi del protettore, apre però anche ad un altro elemento cruciale dello show, ovvero la crescita del cinema hard come vera e propria industria, tanto da volersi elevare addirittura a forma d'”arte”, allontanandosi nel frattempo sempre di più dalla strada e dalla prostituzione. “Stop using whores“, suggerisce infatti la famosa regista Genevieve Furie a Candy, ed ecco introdotte subito, non a caso, le nomination agli “Oscar” del porno e la figura del manager Fig per le attrici, in una sorta di star system della pornografia.
A proposito di Candy, si può prendere proprio lei, e il suo percorso personale nella serie, come esempio massimo per valutare la scrittura di Simon in The Deuce. È infatti attraverso il personaggio interpretato da Maggie Gyllenhaal che l’autore ci mostra l’evoluzione del porno (pronto a scoprire ora le parodie a luci rosse delle fiabe), nonché l’incidenza e la maggior consapevolezza del ruolo femminile, in un campo così prettamente dominato dagli uomini che al tempo stesso, paradossalmente, della donna non può fare a meno. Eppure, da quando Candy nella scorsa stagione ha trovato nel porno l’opportunità di realizzazione ed emancipazione personale, è difficile dire che il suo personaggio si sia evoluto davvero, forse perché entrata proprio in quel circuito cui si accennava poc’anzi, in cui la sua storia ha cominciato ad asservire fin troppo la macro-storia dell’industria hard. Almeno in quest’inizio di stagione, dove in effetti la Gyllenhaal è in buona compagnia.
Chi invece, al contrario, dimostra una simile immobilità, ma al servizio della micro-storia e, soprattutto, del suo rapporto con la propria partner è Vincent. La sua relazione con Abby viene messa a dura prova, nel finale, proprio dall’interesse di lei verso i movimenti femministi. Per adesso, sembra infatti che l’uomo di strada ma pragmatico che l’aveva affascinata la ragazza all’inizio, non sembra essersi evoluto a pari passo con la società in cui vive, o, perlomeno, non sembra esser cresciuto insieme a lei stessa. Sono quindi sicuramente loro i personaggi più approfonditi di questi primi due episodi di “assestamento”, proprio perché rappresentanti dei due mondi, vecchio e nuovo. Divisione messa in scena magistralmente nell’immagine scelta per questa recensione: se le donne sono insieme all’interno del bar, Vincent è fuori, al freddo, con i papponi, come se in fondo appartenesse davvero al loro mondo, pur essendosi sempre sentito superiore o quantomeno distante dalle sue dinamiche, ma, forse, solo all’apparenza.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Sicuramente può apparire sacrilego “salvare” un episodio di una serie di David Simon, ma solo perché da lui e dal suo team ci aspettiamo sempre il massimo. The Deuce resta comunque sempre un attraente quanto magistrale affresco storico, ma questa seconda stagione ancora non ci emoziona quanto dovrebbe.
Our Raison D’Etre 2×01 | 0.64 milioni – 0.16 rating |
There’s An Art To This 2×02 | 0.60 milioni – 0.15 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.