Anche il finale conferma una costante di questa stagione: tanti elementi trattati sbrigativamente a causa del minutaggio relativamente basso. “The Battle Of Ranskoor Av Kolos” soffre ancora di più di questo aspetto a causa del suo ruolo di season finale. La prima metà di episodio, infatti, ha tutte le caratteristiche del crescendo tipico della prima metà di un’avventura doppia, struttura frequente nei finali di stagione di Doctor Who.
Tim Shaw, gli Ux, il pianeta, la tematica dei pianeti rubati, la flotta dispersa, introspezioni varie sui personaggi: tutti elementi che avrebbero meritato un maggiore approfondimento e che avrebbero potuto rendere il finale più “finale”, magari consolidando una nuova mitologia per lo show.
Debole, poi, la scelta di voler creare una specie di chiusura del cerchio con la specie dei Tenza. Quello che sembrava un alieno di serie B nella premiére si rivela poi come anello di congiunzione tra l’inizio e la fine di una stagione prevalentemente, se non quasi totalmente, verticale.
Ciò che stavolta funziona è la caratterizzazione di uno dei companion: se Yaz funge da spalla del Dottore, Ryan è la spalla, in questo caso, di Graham e della mini-evoluzione cui si assiste in questo decimo episodio. Si potrebbe storcere il naso nelle battute iniziali, quando il personaggio improvvisamente assume un atteggiamento caricaturalmente vendicativo, nell’atto di instaurare la classica dialettica con l’indole totalmente non violenta del Dottore. Emerge però poi un progresso caratteriale nel personaggio interpretato da Bradley Walsh che prima vede confermato l’avvicinamento con il suo nipote adottivo – uno dei pochi leitmotiv della stagione – poi spegne i suoi estremi istinti di vendetta, agendo in linea con lo spirito e la filosofia del Dottore. Quasi commovente il momento in cui si definisce debole, oppure quando si giustifica per aver sparato al piede di Tim Shaw, chiedendo a Ryan di non dire niente al Dottore. In questo genere di sottili sfumature caratteriali emerge quello che può essere il valore aggiunto di Chris Chibnall, la cui capacità di disegnare l’animo umano è già stata apprezzata in Broadchurch.
Per quanto riguarda Jodie Whittaker, si possono iniziare a tirare alcune somme. Sicuramente in questo finale l’interpretazione è assolutamente di altissimo livello, soprattutto nei momenti frenetici all’interno del Tardis (in cui vengono citati i fatti del finale della quarta stagione e addirittura un episodio della prima stagione con Christopher Eccleston). Ciò che emerge però, alla luce dell’intera undicesima stagione, è che di fronte ad una scelta storica per lo show, ovvero la scelta di un Dottore di sesso femminile, si sia cercato di attutire un po’ l’impatto, distribuendo le storyline in maniera più frastagliata. E’ vero che ai tempi della serie classica vi erano spesso focus sui companion senza Dottore (l’apertura dell’episodio, in un altro luogo con personaggi mai visti, è un classico degli episodi pre-1986), ma l’impressione è che si sia voluto – anche non volontariamente – in qualche modo ridurre il minutaggio destinato alla protagonista, per ridurre a sua volta l’impatto nei confronti del pubblico. Ovviamente non si vuole andare a cercare malizia in una scelta del genere, è assolutamente legittimo, infatti, che si sia cercata una differente formula (andando, come detto, a recuperare schemi più classici) di divisione dei tempi scenici.
Da segnalare, però, l’ennesima scelta di trama che non suona proprio come originalissima: i pianeti “rapiti” ricordano tantissimo la trama del già citato doppio finale della quarta stagione. Purtroppo anche questo insieme di soluzioni già viste risulta un leitmotiv della stagione.
Testimonianza dell’apparente decadenza dello show (termine forse un po’ forte) è individuabile nel comunque efficace – ma sintetico – monologo finale di Jodie Whittaker a proposito dell’universo e della sua enormità. Nessun cliffhanger, anche promozionale, che anticipa lo speciale di Natale Capodanno, semplicemente poche battute che ricordano tristemente quelle che furono le battute aggiunge in post-produzione da Sylvester McCoy, al chiudersi della serie classica. Tale similitudine non vuole essere una sentenza nei confronti del nuovo corso della serie. E’ indubbio però che andranno, nel prossimo futuro, individuati nuovi spunti e un nuovo slancio che possano certificare un effettivo crescendo dopo questa stagione in sordina. Fermandosi ai puri dati di fatto, anche questo decimo episodio non può essere giudicato negativamente, avendo dalla sua diversi elementi soddisfacenti. Tuttavia, è indubbio che mancano tutta una serie di caratteristiche senza le quali anche l’appassionato più sfegatato rimane freddo. Forse occorrerà solo abituarsi al nuovo linguaggio, forse è un bene per la sopravvivenza dello show che non vi siano troppi spostamenti verso la trama orizzontale (come faceva Moffat), sta di fatto che un’opera di riconquista andrà fatta e, dopo lo speciale del primo dell’anno, il tempo non mancherà, considerando che la dodicesima stagione è prevista per il 2020.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
It Takes You Away 11×09 | 5.07 milioni – ND rating |
The Battle Of Ranskoor Av Kolos 11×10 | 5.32 milioni – ND rating |
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Tags:
Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.