Si conclude questa prima parte della decima stagione di American Horror Story dal titolo “Red Tide” e, verrebbe da dire ovviamente, la serie giunge al suo consueto scivolone finale – quest’anno allo spettatore sarà addirittura concesso di assistere a ben due finali osceni nel caso la seconda parte, “Death Valley”, confermi quanto visto in questo sesto episodio – offrendo al suo pubblico una conclusione scontata, frettolosa e, oggettivamente, ridicola sotto ogni aspetto possibile.
Senza contare le tre protagoniste delle vicende, nonché uniche sopravvissute dell’abituale massacro con cui gli autori amano concludere TUTTE le loro antologie dell’orrore, che insieme raggiungono forse il più alto coefficiente di “fastidio televisivo” mai raggiunto in un telefilm – ma questo in realtà non è del tutto un punto a sfavore e se ne parlerà tra poco.
AHS E LA MALEDIZIONE DEL FINALE DI M***A
“It means strange things happen down the cape in the winter. Everyone knows it. Us full-timers just accept it as the price of living in such a special place. But by the time spring rolls around, you’ll see, it all just magically stops. And the worst problem we have? Uh, traffic on route 6, a bad sunburn and too much butter on a lobster roll.“
Fin dalle prime battute di questo sesto episodio era già chiarissima la direzione che la serie avrebbe preso da lì a poco. La minaccia diventa insostenibile, la piccola cittadina infestata da pelati falliti succhiasangue comincia a sollevare dubbi e perplessità (ed era anche ora) tra i pochi esseri umani dotati di buon senso e quindi nasce la necessità di contenere la scia di sangue e distruzione che lentamente ha finito per avvelenare Provincetown. Come fare dunque per chiudere l’arco narrativo di Red Tide, introducendo anche il segmento relativo al nuovo business plan accennato da Ursula nelle precedenti puntate circa la sua nuova carriera da talent scout/drug dealer? Ma che domande, naturalmente uccidendo gran parte del cast in una sequenza frettolosa, scontata e per nulla originale per poi saltare tre mesi dopo il fattaccio per scoprire che ora Alma, Ursula e La Chimica sono diventate un’allegra famigliola dedita a trasformare il mondo in una landa desolata dominata da vampiri pelati senza talento che finiranno per divorare, molto probabilmente, gran parte della potenziale clientela alla base del business plan ideato da Ursula. Senza contare l’idiozia più grande: Alma che in pratica diventa un essere invincibile dotato di superforza, altrimenti non si spiegherebbe la sua straordinaria abilità di far fuori adulti il doppio della sua stazza senza il minimo problema, e l’incredibile facilità con cui i suoi genitori (ma anche le altre decine di morti ammazzati) sono stati dimenticati da tutti senza sollevare il minimo sospetto da parte delle autorità circa la loro sparizione nei tre mesi che hanno accompagnato il salto temporale. Particolari che, senza dubbio, potrebbero essere trascurati tenendo conto del genere televisivo preso in esame – l’horror non è certo la cosa che si avvicina di più al realismo scenico – ma che irrimediabilmente finiscono col rovinare l’integrità generale dell’episodio, ridotto ad ennesima parentesi trash di una stagione che, almeno fino a questo momento, non stava andando poi così male.
RED PILL OR BLUE PILL? BLACK PILL.
“Being great is hard. The rest of us just don’t get it. We drive ourselves crazy with envy, longing for just a taste of the delicious madness of the creative mind. But the truth is, most people aren’t willing to put in the work. They focus on the success, on the notoriety, the wealth that their great piece of art will bring. But the journey there is tedious. And those that achieve greatness only do so because they’re fucked up enough to push trough the pain and failure it takes to reach your potential. At least with these pills the world can find out if you’re any good.“
Dopo dieci anni di trame antologiche, sarebbe anche comprensibile se si arrivasse ad uno stallo dovuto alla mancanza di idee. Sfortunatamente per il loro pubblico, invece, Murphy e Falchuk sembrano inarrestabili da questo punto di vista. Non sempre la loro fertile vena creativa ha portato a risultati strabilianti (il trauma di Coven è ancora vivido nello spettatore di lunga data), eppure negli ultimi anni i vari archi narrativi erano riusciti a regalare più di un’emozione, passando per elezioni presidenziali in un clima alla The Purge, stagioni crossover inaspettate e parentesi horror anni ’80. Tutto molto bello. E allora perché tornare ad atmosfere e dinamiche già viste e riviste? Forse la spiegazione è quella più semplice: mancanza di idee – ironico in una stagione che prende il via proprio grazie ad un cosiddetto “blocco dello scrittore” – o forse, ancor più semplicemente, dopo 10 anni la serie comincia a non avere più granché da dire al suo pubblico. Non ci sarebbe neppure qualcosa di cui vergognarsi.
A prescindere dalla ragione dietro a questo flop – un po’ annunciato – resta comunque da apprezzare la consueta cura per i dettagli e per la componente eminentemente gore, sempre impeccabile, e soprattutto l’impegno profuso dai vari attori per essere sempre al top nonostante l’annuale “cambio di pelle” che la serie richiede. Come detto sopra, le tre protagoniste/sopravvissute di questo sesto episodio raggiungono livelli di “fastidio televisivo” difficilmente raggiunti da altri character nelle precedenti stagioni (anche se, ad onor del vero, Leslie Grossman in questo è la regina assoluta) e, sebbene per quasi tutta la durata dell’episodio vorremmo vedere i tre personaggi sottoposti alle peggiori torture (Alma in primis, e non dovete sentirvi in colpa a riguardo, Ryan Kiera Armstrong ha fatto un ottimo lavoro per risultare così meschina e si merita tutto l’odio possibile), il fatto che dopo dieci anni una serie riesca a far provare al suo pubblico emozioni così forti, seppur negative, non è mai cosa da poco.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Ottime prove attoriali, tanto gore e violenza gratuita certamente apprezzata dai fan dell’horror. Peccato per il finale indecente, l’assurdità della trama e le incoerenze narrative sottese all’intera trama di (mezza) stagione. Si spera che con Death Valley possa andare meglio ma, sapendo che si parlerà di alieni e avendo bene in mente i precedenti della serie a tal proposito, le aspettative sono veramente ai minimi storici.
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.