Dopo un primo episodio molto introduttivo, Star Trek: Strange New Worlds si lancia subito a fare quello che riesce meglio alle serie Trek: raccontare una storia che inizia e si esaurisce nell’arco di un episodio. Perché, diciamocelo chiaramente, le trame orizzontali di Discovery e Picard hanno funzionato bene solo nelle rispettive prime stagioni, perdendosi per strada già nelle seconde annate.
Con Strange New Worlds gli autori sembrano aver imparato la lezione e l’impressione è che si vada verso il ritorno alle piccole trame verticali, con ogni puntata dedicata a un caso specifico e lo spazio per le divagazioni ed i riempitivi ridotto al minimo. Non è automaticamente sinonimo di qualità, né è sufficiente per dire se tutta la stagione sarà costruita in questo modo, ma qualora la formula narrativa adottata fosse questa potrebbe dar vita a un prodotto molto più godibile delle sue sorelle maggiori.
HOUSTON, ABBIAMO UN PROBLEMA
La trama di “Children Of The Comet” ruota intorno a un caso già visto nelle vecchie serie Trek: un grosso oggetto è in rotta di collisione con un pianeta abitato e bisogno intervenire per deviarne la traiettoria. Non si può non pensare a “The Paradyse Syndrome“, episodio della terza stagione della serie originale andato in onda nel lontano 1968.
Ovviamente, Star Trek: Strange New Worlds non vuole riproporre la stessa identica storia e piazza fin da subito un colpo di scena non da poco: la cometa da deviare è in realtà un oggetto artificiale, per di più protetto da una razza di alieni piuttosto bellicosi, sul quale viaggia un’entità chiamata M’hanit. Il M’hanit è descritto come un vero e proprio arbitro galattico, non nel senso che dà cartellini gialli e rossi ma nel senso che decide quali pianeti debbano ospitare la vita e quali no. Gli alieni che lo proteggono, i Pastori, venerano tali entità come vere e proprie divinità e da tempo immemore si assicurano che possano svolgere indisturbate il proprio “compito”.
Qui la serie riprende un tema già più volte sviscerato dalla saga di Roddenberry, ossia la religione e nello specifico il fanatismo religioso. I Pastori sono zeloti che non sentono ragioni e difendono la propria dottrina a qualunque costo, con la forza delle armi. La loro è la peggiore intolleranza possibile, la totale chiusura religiosa e ideologica che nel futuro immaginato da Star Trek non può che essere un valore negativo, da abbattere.
In questo senso, “Children Of The Comet” può essere letta in forte continuità con il precedente episodio “Strange New Worlds” in quanto entrambi mostrano comportamenti negativi della vecchia umanità, seppur applicati a razze aliene. Lì si trattava della reciproca voglia di annientarsi e distruggersi, qui dell’intolleranza, ma la sostanza non cambia. Né cambia la determinazione del capitano Pike e dell’equipaggio a intervenire con ogni mezzo per salvare il mondo che hanno di fronte, seppur sia per loro sconosciuto.
VECCHIE E NUOVE CONOSCENZE
Un grosso pregio di “Children Of The Comet” è di lasciar spazio ai vari comprimari, facendo ben sperare per la futura gestione del cast (il ricordo di Discovery Burnham-centrica è ancora molto forte).
In particolare, la vera eroina della settimana è il tenente cadetto Uhura. L’episodio si apre con il suo invito a cena alla tavola del capitano, insieme al resto degli ufficiali, e dà subito allo spettatore qualche informazione sul passato della futura ufficiale delle comunicazioni dell’Enterprise: pochi accenni a una tragedia del passato e all’indecisione per il futuro, ma sufficienti a inquadrare il personaggio.
È scritta bene, questa “nuova” Uhura. Cosa tutt’altro che scontata nell’era Discovery-Picard, in cui i veterani delle serie classiche devono essere demoliti e le new entries devono essere fin troppo emotive e piene di nevrosi, come se bastasse qualche piagnisteo per dar vita a un personaggio complesso. Uhura funziona perché è fragile e spaventata, trattandosi di un cadetto alla sua prima missione sul campo, ma al contempo sa affrontare il pericolo con fermezza, senza la lacrima facile di certe vecchie conoscenze.
Dà soddisfazioni anche Erica Ortegas, la pilota dell’Enterprise dalla lingua tagliente e dai riflessi sempre pronti, e persino Samuel Kirk, benché al momento abbia fatto poco, lascia intravedere un certo carattere che sarà interessante scoprire nei prossimi episodi. A rimanere sullo sfondo sono semmai proprio Pike e Spock, ma non è un dramma, anzi: fa respirare quell’aria di narrazione corale che rendeva grandiose le vecchie serie.
IL DESTINO È SCRITTO?
Uno dei leitmotives della stagione, anzi sicuramente dell’intera serie, sarà la questione del futuro del capitano Pike: il suo destino è già scritto o può ancora modificarlo? E quando si verificherà (perché deve verificarsi, così ci dice la serie originale) avverrà perché era inevitabile o perché Pike stesso ha agito per realizzarlo in quel modo?
Tuttavia “Children Of The Comet” non vuole ammorbare gli spettatori con le lagne di Pike. Se si fosse in Discovery sarebbe lecito attendersi interminabili puntate di Michael Burnham che piagnucola; qui i turbamenti dell’eroico capitano sono sempre nell’aria ma raramente tornano in primo piano.
La tematica del destino viene affrontata in maniera indiretta, proprio attraverso il caso della settimana da risolvere: perché la storia del M’hanit che porta la vita o la morte secondo un imperscrutabile disegno e l’incapacità dell’uomo di cogliere quest’ultimo sono solo bellissime metafore del grande mistero della vita umana. Nella quale forse le cose sono già decise da un’intelligenza superiore o da un’entità trascendentale, ma finché non le sperimenteremo in prima persona non potremo saperlo.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Anche nel secondo episodio di Star Trek: Strange New Worlds tutto fila liscio. Forse si è davvero di fronte a una serie Trek rispettosa dello spirito originale. Proprio quello che ci voleva, senza nulla togliere a Discovery e Picard che a modo loro hanno cercato di innovare (forse troppo) un franchise che però funziona benissimo anche ricorrendo all’usato sicuro.
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.