“We adapt or die.”
Ozark dopo un percorso stagionale composto da difficili scelte personali e lavorative, decide di fare un vero e proprio “all in”, con un episodio finale in cui Chris Mundy punta tutto quello che ha mostrato fino a qui. Ma non si tratta di un bluff, bensì di una magistrale giocata di fino. Una puntata forse ingorda, forse spregiudicata ma incredibilmente d’effetto e che potrebbe venir ripagata con una stagione (o due? Nemmeno Jason Bateman sembra esserne convinto) finale.
Il colpo di scena in conclusione di puntata sorprende per due motivi. Il primo è la modalità di esecuzione: brutale il colpo di pistola alla tempia di Helen; il getto di sangue che si disegna sul volto esterrefatto di Marty e Wendy; l’abbraccio di Omar Navarro alla coppia e la frase di commiato; la musica che parte in sottofondo. Il secondo è la tipologia di serie che è Ozark, fin dall’inizio lontana da quello stile di serialità che si rifugia in continuazione nei colpi di scena pur di rendere felice il proprio pubblico e continuare a portare avanti la nave. Un finale mastodontico, quindi, sotto molteplici punti di vista e che convince decisamente di più di “The Gold Cost”. Anche se, volendo essere obbiettivi, continuano ad apparire raffazzonate alcune evoluzioni, risultato di una gestione quanto mai approssimativa di alcuni personaggi lungo l’intera stagione.
Ma il risultato è un solido episodio in grado di gettare le basi per il continuo di una serie che, per il suo terzo ciclo narrativo, convince nuovamente. Fazioni distrutte e ricreate; frammenti di trama non convincenti e alcuni capisaldi narrativi inamovibili: questo è l’all in che il pubblico chiedeva e che Ozark ha gentilmente deciso di offrire.
MARTY E WENDY
La prima contrapposizione della serie è quella che viene costruita attorno ai due personaggi principali della serie: così distanti nella prima stagione, così simili nella seconda e, ancora una volta, così distanti nella terza. Un’evoluzione (soprattutto quella di Wendy) che si ha avuto modo di analizzare in diverse occasioni (“Kevin Cronin Was Here” e “It Came From Michoacàn“) e che in quest’ultimo capitolo viene mostrata nel suo realismo più crudo e violento. Wendy, dal finale della scorsa stagione, ha intrapreso un’evoluzione (o involuzione, dipende dal punto di vista dal quale la si osserva) verso l’illegalità più pura e becera. La sua necessità di sottomettersi alla causa dei Navarro, sospinta da un desiderio di potere che in precedenza non le apparteneva, le ha fatto perdere di vista le cose più importanti (la famiglia).
Emblematico, per quanto concerne questo cambiamento, il suo approcciarsi sia ad Omar Navarro, sia ai poveri possessori del casinò che durante la stagione è stato acquistato/sottratto. Ma ci ha pensato la realtà (in “Fire Pink“) a riportarla con i piedi per terra: tutto è fugace, anche la gloria ed il potere; tutto può sfuggire nel giro di pochi, deprecabili, attimi.
Wendy si ritrova in balia degli eventi, quindi. Una cosa che per Marty difficilmente è accaduta: anche durante il rapimento, l’uomo ha mantenuto un controllo a tratti paradossale che proprio in “All In” torna a tenere banco nel momento di maggior bisogno, quando la crisi sembra nascondersi dietro l’angolo. Un’evoluzione incredibile per un personaggio mostrato ben diversamente nel primo episodio di questa serie. Una distanza, tra i due personaggi, che si ridisegna ed appare fondamentale ora più che mai: Wendy, per quanto sagace ed in grado di gestire determinate problematiche, si ritrova in parte spezzata dagli avvenimenti occorsi al fratello. Marty, forse sentendo la necessità di mostrarsi più forte di quanto in realtà vorrebbe, si eleva a vero e proprio risolutore (non in completa solitudine, chiaramente). Ed in tutto ciò sembra ritornato l’amore tra i due.
IL CARTELLO DEI NAVARRO
C’è da dare atto ad Ozark di avere coraggio da vendere: dopo aver gestito in maniera del tutto discutibile la sottotrama riguardante l’FBI (in entrambe le stagioni), al terzo ciclo narrativo alza la posta in palio e porta in scena, parallelamente all’FBI, anche la problematiche oltre confine riguardante il Cartello dei Navarro. Incoscienza o lungimiranza narrativa? Difficile da dire, ma il risultato è sotto gli occhi di tutti ed è un piacere per gli occhi.
La sequenza del disastroso battesimo è solo l’ultimo tassello di puzzle di violenza e cattiveria gratuita già ampiamente mostrati durante la stagione (la tortura di Marty, la castrazione del cavallo, ecc.) e che solidifica una concezione di disumanità che aleggiava proprio attorno a quei fantomatici “capi” a cui ancora non era stato possibile dare un volto nelle passate stagioni. Emblema di questa disumanità è sicuramente l’abbraccio nel finale di puntata: un sorriso largo tutta la bocca, un abbraccio sincero (ed è questo ciò che più terrorizza: la normalità del contesto) ed il cervello di Helen sparso tutto attorno per terra e sul volto di Marty, Wendy ed Omar.
RUTH
La spalla narrativa che ogni serie meriterebbe di avere. Ruth non è altro che il personaggio migliore che si potesse chiedere di avere in una serie simile: rozza, volgare, ma sospinta verso i propri obbiettivi e sogni da un’intelligenza rara ed una perspicacia sopraffina. E Julia Garner con il suo marcato ed elaborato accento e la sua camminata rendono difficile da immaginare una Ruth interpretata da un’altra attrice. O, peggio, rendono difficile potersi immaginare Ozark senza di lei.
Se Ben aveva avuto come turning point la cotta con la bionda atomica, per Ruth il punto di ritorno (relativamente alla fiducia che prova verso i Byrde) è la morte dell’amato. Amore e Ruth sono due concetti talmente avversi e strutturalmente lontani, per quanto mostrato in questa serie, da rendere ancora più amaro e distruttivo il distacco tra Ruth e Ben.
È da sottolineare, tuttavia, quanto il rancore provato verso i Byrde si circoscriva essenzialmente alla figura di Wendy: il rapporto tra Marty e Ruth esula dal puro e semplice campo lavorativo dal momento che tra i due si è ormai cementato un rapporto molto più simile a quello tra padre e figlia piuttosto che tra capo e sottoposta. Ma, come ben sappiamo, il rapporto di Ruth con il proprio padre è sempre stato conflittuale.
Quindi non stupisce la decisione di voltar loro le spalle (andando anche da Helen, conscia di cosa significhi l’offerta che l’avvocato del cartello le propone), alleandosi con Darlene e Wyatt.
Darlene e Wyatt, la nuova coppia di casa Snell, rappresenta quanto di più assurdo questo show potesse decidere di portare in scena: un’unione raffazzonata (più per assimilare le sottotrame che per altro) e che, nonostante la convergenza verso la storia di Ruth, continua ad apparire un ectoplasma rispetto a quanto di buono messo in scena da Ozark.
La mafia di Kansas City, che sembra poter entrare in affari con Darlene, rappresenta un altro fattore narrativo completamente abbandonato a sè stesso e raccolto, ancora una volta, da Darlene che sembra voler entrare in contatto solo con le persone scontente (o sconfitte) dei Byrde. Da rivedere, tra l’altro, proprio questa alleanza: Darlene prima spara a brucia pelo a Frank Jr. (ritenuto un intoccabile fino a pochi episodi fa) e dopo sembra ottenere un accordo silenzioso di collaborazione con il padre dello stesso. Una perdita di realismo, da questo punto di vista.
Ma il vero elemento positivo di tutta questa stagione è la totale mancanza della corposa sottotrama a tinte teen drama a cui Ozark aveva cercato, forzatamente, di abituare lo spettatore. Forse per una questione anagrafica (i figli dei Byrde sono decisamente cresciuti, forse anche a causa degli avvenimenti), forse anche qui per lungimiranza narrativa, eppure la storia ci guadagna in leggerezza visiva. Una cosa, e forse si è ripetitivi nel dirlo, che non può in alcun modo essere data per scontata visto e considerato che le puntate durano quasi un’ora ciascuna. Jonah e Charlotte, tuttavia, non possono essere allontanati troppo dal loro contesto narrativo, in quanto sradicarli dal puro e semplice teen per trapiantarli in una narrazione violentemente thriller potrebbe avere delle conseguenze negative per lo show.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
Una domanda a cui risulta difficile trovare risposta quindi, al momento, tanto vale godersi questo show e questo finale in grado di tramutare in pochi secondi una puntata più che sufficiente in un vero e proprio masterpiece. Un capolavoro, sì, con i suoi punti deboli però.
Fire Pink 3×09 | ND milioni – ND rating |
All In 3×10 | ND milioni – ND rating |
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Tags:
Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.
A me il invece la sottotrama teen drama piaceva, anzi, era uno dei momenti in cui trovavo più realistica la serie. Per il resto concordo. Il finale? Interessante, ma molto, molto aperto: un finale che è un inizio (come recita, per gli amici, er Omar).